• CRONACHE

Agente ostaggio di due stranieri minacciato con una lametta da barba

PERUGIA. Situazione sempre più esplosiva nelle carceri umbre.
 La cronaca di queste ore registra ancora violenze ai danni dei poliziotti addetti al controllo dei detenuti. Un assistente capo della polizia penitenziaria è stato tenuto in ostaggio nella notte per circa mezz’ora con una lametta al collo da due stranieri detenuti nel carcere di Capanne, a Perugia. A denunciarlo è il sindaco della polizia penitenziaria Osapp. Secondo quanto appreso la situazione è tornata sotto controllo dopo l’intervento dello stesso personale della penitenziaria e dei vertici della casa di reclusione. L’aggressione è avvenuta presso il reparto penale dove si trovano detenuti con pene definitive. Non è ancora chiaro per quali reati i due extracomunitari fossero rinchiusi a Capanne. Gli stranieri sono stati posti ora in isolamento. Nei loro confronti sono state già avviate le pratiche per il trasferimento dal carcere di Perugia.  Su quanto successo la polizia penitenziaria ha inviato un’informativa alla procura della Repubblica di Perugia ipotizzando il reato di sequestro di persona. Da quando è stata introdotta la “vigilanza dinamica”, i detenuti, con le porte delle celle spalancate, hanno la possibilità per più ore al giorno di frequentarsi, girare per le varie sezioni, e dunque di aggregarsi per etnia e per bande, con poliziotti costretti dai regolamenti a muoversi all’interno disarmati.
E non è un caso allora che la scia di violenza e sangue che la cronaca registra negli ultimi tempi veda sempre più agenti rimanere vittime di violenze e aggressioni. In Umbria, poco tempo fa, nel carcere di Spoleto, un italiano del circuito penitenziario alta sicurezza all’improvviso e per futili motivi ha aggredito a pugni un assistente capo che è riuscito a limitare i danni grazie ad altri detenuti che hanno bloccato l’aggressore.

  Donato Capece, segretario generale del Sappe, a sua volta sottolinea come «nelle carceri umbre si contano sistematicamente atti di autolesionismo, tentati suicidi sventati in tempo dagli uomini della Penitenziaria, che intervengono per sedare colluttazioni, a rischio della vita e di ferimenti».
«E pensare che è solamente grazie a loro – continua Capece -, agli eroi silenziosi del quotidiano con il Basco Azzurro, a cui va il ringraziamento del Sappe per quello che fanno ogni giorno, se le carceri reggono alle costanti criticità penitenziarie. La situazione negli istituti di pena si è notevolmente aggravata. Basterebbe avere l’onesta di esaminare i dati sugli eventi critici accaduti nell’anno 2017. E la cosa che risulta evidente è che questi numeri si sono concretizzati proprio quando sempre più istituti hanno introdotto il regime penitenziario “aperto”, ossia con i detenuti più ore al giorno liberi di girare per le sezioni detentive con controlli sporadici ed occasionali della Polizia Penitenziaria». Per il Sappe «inquieta l’atteggiamento assunto dai quegli “utenti” (ora il nuovo regolamento impone di chiamarli così), che pur essendo condannati ad un elevato indice di detenzione hanno libertà di azione e si comportano da arroganti e violenti, rendendosi responsabili di un atteggiamento che dovrebbe invece essere stigmatizzato e punito con estrema severità…».

Anche per questo il giudizio del Sappe sulla riforma dell’ordinamento penitenziario è sempre più critico: «I dati ci confermano che le aggressioni – che spessissimo vedono soccombere gli appartenenti al corpo di Polizia Penitenziaria, con sempre più contusi e feriti vittime di una parte di popolazione detenuta prepotente e destabilizzante – sono sintomo di una situazione allarmante, per risolvere la quale servono provvedimenti di tutela per gli agenti e di sicurezza per le strutture carcerarie, e certo non leggi che allarghino le maglie della sicurezza penitenziaria. Avere carceri meno affollate e più moderne non vuol certo dire aprire le porte delle celle, come pure prevedeva questa scellerata riforma penitenziaria!».
«Nelle carceri non comanda più lo Stato – è l’affermazione forte di Aldo Di Giacomo, segretario nazionale del Sindacato Polizia Penitenziaria SPP -. Ci sono detenuti che subiscono violenze fisiche e sessuali e ci sono alcuni detenuti con maggiore potere economico che vincolano gli altri. Noi poliziotti con 1.400 euro al mese siamo costretti a subire violenze ormai quotidiane. Negli ultimi 6 mesi la media mensile è di 28 poliziotti ricorsi alle cure mediche». E di certo non giovano i tagli dell’organico, sanciti dal decreto Madìa del 2 ottobre 2017. Con un effetto paradossale: se prima di quella data in quasi tutti gli istituti si lamentava carenza di personale, oggi si è in esubero. Ma la verità è che dal 2001 si registrano oltre 5mila unità in meno, e adesso, proprio per effetto della legge Madìa, la Polizia Penitenziaria ha subito una drastica riduzione a livello nazionale, passando da 41.335 unità nel 2013 a 37.181 unità nel 2017. In questa situazione le assunzioni non coprono neppure i licenziamenti. In Umbria sarebbero necessari 1.002 poliziotti operativi, ne risultano invece solo 820. Ma per avere una visione integrale della condizione degli istituti di pena della regione bisogna rifarsi ai dati del Sappe, dove si sancisce: la capienza regolamentare è di 1.338, i detenuti presenti sono invece 1.370 (1.322 uomini e 48 donne). Nel carcere di Perugia ci sono 374 reclusi di cui 79 imputati, 295 condannati e 244 stranieri. Praticamente i non italiani sono il 65,24% dei presenti. Il carcere con il maggior numero di detenuti è Spoleto, che vede una presenza di 480 “utenti», di cui 53 imputati, 427 condannati e 94 stranieri (19,58%). L’Istituto di pena di Terni contiene 430 detenuti; 133 imputati e 297 condannati. Il 25% sono stranieri (110 detenuti).
Ad Orvieto sono 86 i detenuti: 4 imputati, 82 condannati e 48 stranieri (il 55,81%). Il 2016 è stato un anno critico all’interno delle carceri umbre fra episodi di violenza, risse, tentati suicidi e ferimenti. I dati mostrano come il maggior numero di episodi violenti, con 123 gesti di autolesionismo da parte dei detenuti, 15 tentati suicidi e 31 colluttazioni (di cui 16 feriti) è il carcere di Terni. Anche Spoleto, vista la presenza di quasi 500 detenuti, ha fatto registrare 51 gesti autolesionisti, 5 tentati suicidi e 39 colluttazioni, ma nessun ferito. A Perugia 49 autolesionisti, 6 tentati suicidi, 24 collutazioni, 18 ferimenti, mentre ad Orvieto ci sono stati 10 episodi di autolesionismo, 10 colluttazioni e tre feriti. E c’è poi da considerare l’Area penale esterna. Attualmente in Umbria ci sono 283 persone affidate in prova al servizio sociale, 22 in semilibertà, 64 agli arresti domiciliari, una persona in libertà controllata, 174 persone impiegate nei lavori di pubblica utilità e 21 al lavoro esterno. «Con questi numeri – spiega Capece – è sempre più difficile per il provveditorato dividere il numero di uomini per ciascun istituto (190 quelli in Italia)». E il risultato è che non si sta tenendo conto di alcuni fattori, quali l’alta sicurezza, «con effetti negativi per quelle carceri dove vi è un maggior numero di detenuti sottoposti al 41 bis». «Non accettiamo un così drastico taglio alle risorse umane, soprattutto dopo aver messo a conoscenza per anni il governo della gravosa situazione delle carceri sprovviste del personale necessario» – sottolinea Calogero Lo Presti, coordinatore regionale Fp Cgil, secondo cui «è una beffa nei confronti di lavoratrici e lavoratori». Oltre ai 625 posti di lavoro a rischio, si sottolinea un ulteriore aumento di lavoro e di responsabilità per chi resta, «che si concretizzerà in una crescita sproporzionata dello straordinario, tra l’altro non interamente retribuito, e una diminuzione della sicurezza sia per i poliziotti che per i detenuti».

E che le carceri italiane siano sull’orlo del collasso lo dimostrano anche altri dati, come quello sulla popolazione carceraria, che secondo la “capienza regolamentare”, dovrebbe essere di 50.511, ma al 30 novembre 2017, sono i dati ufficiali dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), il numero dei reclusi era di 58.115. Vale a dire 7.604 unità in più rispetto alla regola. “Il tasso di sovraffollamento – denuncia in un rapporto l’associazione Antigone – è al 113,2% e in alcune carceri si torna a scendere sotto lo spazio minimo previsto di 3 mq per detenuto”.  Non solo, “nel 68% degli istituti da noi visitati ci sono celle senza doccia (come invece richiesto dall’art. 7 del Dpr 30 giugno 2000, n. 230), e solo in uno, a Lecce, e solo in alcune sezioni, è assicurata la separazione dei giovani adulti dagli adulti, come richiesto dall’art. 14 dell’Ordinamento penitenziario. Inoltre l’Italia è uno dei paesi dell’Unione Europea con il più basso numero di detenuti per agenti (in media 1,7), mentre ciò che manca sono gli educatori. A Busto Arsizio ce n’è uno ogni 196 detenuti e a Bologna uno ogni 139”.

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