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Il pm al processo Cucchi bis: “Pestaggio vile, degno da teppisti di stadio”

ROMA. Per la morte di Stefano Cucchi c’è già stato un processo nell’ambito del quale sono state pronunciate sentenze definitive ma si è rivelato “un processo kafkiano, frutto di uno scientifico depistaggio messo in atto perché si stava giocando un’altra partita truccata all’insaputa di tutti“. È quanto ha dichiarato oggi, davanti alla prima corte d’assise di Roma, il pm Giovanni Musarò in apertura della sua requisitoria nel processo bis sulla morte del giovane 31enne romano, avvenuta il 22 ottobre 2009, che vede come imputati tre carabinieri per omicidio preterintenzionale.

Il magistrato ha sottolineato che non si trattò di “uno schiaffo”, ricordando poi le parole dette in aula da Francesco Tedesco, il carabiniere che ha rivelato le botte dei due suoi colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati come lui di omicidio preterintenzionale. “Ci furono due battibecchi con D’Alessandro. Dopo un calcio e uno spintone Cucchi cadde e sbattè a terra il sedere e la nuca, poi prese un calcio violentissimo in faccia o alla nuca che gli provocò una frattura alla base del cranio”, ha aggiunto Musarò descrivendo quanto accaduto 9 anni fa.

Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, al processo bis

“Le lesioni più gravi sono state prodotte dalla caduta di Cucchi, dopo un violentissimo pestaggio”, ha continuato il pm ricordando che in quell’occasione il giovane “si è fratturato due vertebre. Musarò ha quindi citato uno dei testimoni chiave per la riapertura del caso, Luigi Lainà, un detenuto che incontrò Cucchi il giorno dopo il suo arresto. “Gli ho chiesto di alzarmi la maglietta. E lui mi ha mostrato la schiena: era uno scheletro, sembrava un cane bastonato, roba che neanche ad Auschwitz – ha detto il pm citando le parole di Lainà -. Aveva il costato di colore verdognolo-giallo, come quello di una melanzana. Gli ho chiesto se a ridurlo così fosse stato qualcuno della penitenziaria… ero pronto a fare un casino… e invece lui rispose che erano stati i carabinieri che lo avevano arrestato”. ‘

Quando venne arrestato, ha detto ancora il pm Musarò, Stefano Cucchi “pesava 43 kg. Ne pesava 37 quando morì. Perse 6 kg in 6 giorni. Non mangiava perché aveva dolore, stava male. E per il dolore non riusciva neppure a parlare bene… Non possiamo fare finta che non sia successo niente, di non sapere e di non capire che quel processo kafkiano è stato frutto di un depistaggio iniziato con un verbale d’arresto falso, sottoscritto dal maresciallo Mandolini, con gli attuali imputati seduti all’epoca sul banco dei testimoni, con cateteri applicati a Cucchi per comodità e fratture lombari non viste apposta da famosi professoroni”.

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Piero Abrate

Giornalista professionista dal 1990, in passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. È stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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