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Infortunio sul Lavoro: giusto rendere obbligatorio il Vaccino Covid?

Interessante ed allo stesso tempo complesso l’argomento che oggi andiamo a trattare ossia il problema dei contagi Covid nei luoghi di lavoro, la legge ed i protocolli al momento non prevedono l’obbligo di vaccinarsi, ma giacché l’Inail è tenuto alla protezione di tutti i lavoratori vittime di infortunio sul lavoro, ci si chiede, il dibattito è sempre più vivo, se sia corretto proteggere, anche quanti rifiutano di vaccinarsi.

Per il Presidente dell’ Inail ‘il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un trattamento sanitario, ancorché fortemente raccomandato dalle autorità, non può costituire un’ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato.

Ma la questione resta complessa, abbiamo chiesto il parere del Professor Giuliano Cazzola che non la solita preparazione in materia che lo contraddistingue ha scritto per noi un elaborato che affronta minuziosamente, snocciolando i dati Inail, la questione di cui sopra. Lo condividiamo ritenendo l’elaborato davvero di livello, certi che questo possa aprire ad un bel dibattito. Anche perché di fondo la domanda da porsi è ala seguente: I diritti di una persona, il non volersi vaccinare, terminano quando violano i diritti, e soprattutto la salute, di un’altra con cui si condivide lo stesso ambiente lavorativo?

Vaccino Covid 19 e Infortunio sul lavoro : le considerazioni di Giuliano Cazzola

La  legge  ha ricondotto  la contrazione del virus sul posto di lavoro o in itinere alla fattispecie dell’infortunio (con la specificazione: da covid-19), non solo per il personale – come quello sanitario – che lavora a contatto con il virus, ma per chiunque possa dimostrare l’eziologia del contagio. La causa virulenta (da contagio) è stata equiparata alla causa violenta che è a base dell’infortunio. L’Inail rende periodicamente noti i dati. Ed è opportuno attribuire al problema l’attenzione che merita per diversi motivi. Innanzi tutto perché il mondo del lavoro – che non ha mai <marcato visita> ma che si è impegnato, dopo il primo lockdown, a rimettere in moto, nella misura del possibile, l’economia senza minacciare scioperi) – paga anch’esso il suo tributo di sofferenze.

Nello stesso tempo, però, il numero contenuto dei contagi (sono milioni le persone che continuano a lavorare) dimostra che è possibile organizzare il lavoro in relativa sicurezza quando le parti sociali si impegnano a farlo, come nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni. Il più recente  monitoraggio dell’Istituto  reca la data del 28 febbraio scorso ed ha  rilevato quanto segue: rispetto al monitoraggio effettuato alla data del 31 gennaio 2021 (147.875 denunce) i casi in più sono 8.891 (+6,0%), di cui 2.634 riferiti a febbraio 2021 e 3.102 a gennaio 2021, 1.474 a dicembre, 1.021 a novembre e 503 ad ottobre scorsi; i restanti 157 casi sono riconducibili agli altri mesi del 2020 (il consolidamento dei dati permette di acquisire informazioni non disponibili nelle rilevazioni precedenti).

La “seconda ondata” di contagi, i cui effetti non sono evidentemente terminati nello scorso anno ma sono proseguiti soprattutto a gennaio e in misura più contenuta a febbraio, ha avuto un impatto, anche in ambito lavorativo, più intenso rispetto alla prima ondata e non solo per la presenza di due mesi in più: il periodo ottobre 2020-febbraio 2021 incide, infatti, per il 64,4% sul totale delle denunce di infortunio da Covid-19, esattamente il doppio di quello del periodo marzo-maggio 2020 (32,2%);  il dato registrato nel periodo ottobre 2020-febbraio 2021, pari a circa 101mila denunce di infortunio (numero peraltro destinato ad aumentare nella prossima rilevazione per effetto del consolidamento particolarmente influente sull’ultimo mese della serie), raddoppia quello del trimestre marzo-maggio 2020 (50.610 denunce). Novembre, con 38.421 denunce, supera il dato di marzo (28.429), diventando in assoluto il mese col maggior numero di eventi a seguito del Covid19. Tra la prima e la seconda ondata, ovvero nei mesi estivi, si era registrato un ridimensionamento del fenomeno (con giugno, luglio e agosto al di sotto dei mille casi mensili, anche in considerazione delle ferie per molte categorie di lavoratori) e una leggera risalita a settembre (poco meno di 1.900 casi) che lasciava prevedere una ripresa dei contagi nei mesi successivi.

Da inizio pandemia al 28 febbraio 2021, le denunce si sono concentrate nei mesi di novembre (24,5%), marzo (18,1%), ottobre (15,3%), dicembre (15,2%), aprile (11,7%), maggio (2,4%) e settembre (1,2%) del 2020, e nei mesi di gennaio (7,7%) e febbraio (1,7%) del 2021, per un totale del 97,8%; il rimanente 2,2% riguarda gli altri mesi del 2020: febbraio (0,7%), giugno e agosto (0,6% per entrambi) e luglio (0,3%); a gennaio 2020 risultano 19 casi denunciati all’Inail; il 69,6% dei contagi ha interessato le donne, il 30,4% gli uomini. La componente femminile supera quella maschile in tutte le regioni ad eccezione della Sicilia e della Campania (con incidenze rispettivamente del 47,0% e del 45,3%); – l’età media dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni per entrambi i sessi; l’età mediana (quella che ripartisce la platea – ordinata secondo l’età – in due gruppi ugualmente numerosi) è di 48 anni (coincidente con l’età mediana riscontrata dall’ISS sui contagiati nazionali); sui casi di febbraio 2021 si confermano l’età media e mediana dell’intero periodo; il dettaglio per classe di età mostra come il 42,1% del totale delle denunce riguardi la classe 50-64 anni. Seguono le fasce 35-49 anni (36,8%), under 34 anni (19,2%) e over 64 anni (1,9%);  gli italiani sono l’86,0% (sette su dieci sono donne); gli stranieri sono il 14,0% (otto su dieci sono donne); le nazionalità più colpite sono la rumena (21,0% dei contagiati stranieri), la peruviana (13,2%), l’albanese (8,0%), la moldava (4,4%) e l’ecuadoriana (4,3%); l’analisi territoriale, per luogo evento dell’infortunio, evidenzia una distribuzione delle denunce del 44,6% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 26,5%), del 24,3% nel Nord-Est (Veneto 10,7%), del 14,5% al Centro (Lazio 6,1%), del 12,1% al Sud (Campania 5,5%) e del 4,5% nelle Isole (Sicilia 3,0%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono Milano (10,2%), Torino (7,1%), Roma (4,8%), Napoli (3,7%), Brescia (2,7%), Varese e Verona (2,6%) e Genova (2,5%). Milano è anche la provincia che registra il maggior numero di contagi professionali accaduti nel solo mese di febbraio 2021, seguita da Ancona, Roma, Torino, Napoli, Brescia, Perugia e provincia autonoma di Bolzano. Sono però le province di Vibo Valentia, Campobasso, Lecco, Crotone, Reggio Calabria, Perugia, Ancona e Isernia quelle che registrano i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione di gennaio; delle 156.766 denunce di infortunio da Covid-19, quasi tutte riguardano la gestione assicurativa dell’Industria e servizi (97,6%), mentre il numero dei casi registrati nelle restanti gestioni assicurative, per Conto dello Stato (Amministrazioni centrali dello Stato, Scuole e Università statali), Agricoltura e Navigazione è di 3.762 unità.

L’aver equiparato il contagio da Covid-19 in occasione di lavoro all’infortunio è destinato ad incidere anche sulla questione dell’obbligo della vaccinazione. Il ragionamento è semplice. E’ il datore di lavoro pubblico e privato responsabile della sicurezza del lavoratore anche in caso di forza maggiore, caso fortuito e colpa del lavoratore. Se dall’infortunio derivano un danno grave o il decesso del lavoratore la responsabilità del datore diventa di natura penale. E’ per questi motivi che, ad avviso di chi scrive, quello di sottoporsi a vaccinazione è un obbligo intrinseco al rapporto di lavoro e il rifiuto può determinarne la risoluzione per giustificato motivo soggettivo (che non è in regime di blocco). Sarebbe paradossale infatti che il datore fosse chiamato a rispondere di un danno grave da contagio subito da un dipendente che, avendone la possibilità, rifiuta di vaccinarsi. Inoltre, il datore è responsabile dell’eventuale contagio subito da altri dipendenti o da terzi, come conseguenza del comportamento di altri dipendenti.

Il problema ha una rilevanza particolare negli ambienti sanitari. L’analisi per professione dell’infortunato mostra che la categoria dei tecnici della salute è quella più coinvolta da contagi con il 39,0% delle denunce (in tre casi su quattro sono donne), l’82,8% delle quali relative a infermieri. Seguono gli operatori socio-sanitari con il 19,3% (l’81,1% sono donne), i medici con il 9,0% (il 48,2% sono donne), gli operatori socio-assistenziali con il 7,3% (l’85,2% donne) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,8% (72,7% donne). Il restante personale coinvolto riguarda, tra le prime categorie professionali, impiegati amministrativi (4,0%, di cui il 68,5% donne), addetti ai servizi di pulizia (2,2%, il 78,6% donne), conduttori di veicoli (1,2%, con una preponderanza di contagi maschili pari al 91,7%) e direttori e dirigenti amministrativi e sanitari (0,9%, di cui il 47,1% donne).

Quanti ai decessi, ben 499 denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale da Covid-19 pervenute all’Inail dall’inizio dell’epidemia, circa un terzo del totale decessi denunciati da gennaio 2020 a febbraio 2021 e una incidenza dello 0,5% rispetto al complesso dei deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’ISS alla stessa data. Il 37,7% sono deceduti ad aprile, il 25,7% a marzo, l’11,6% a dicembre, l’11,0% a novembre, il 4,4% a maggio, l’1,6% ad ottobre, l’1,2% a luglio, l’1,0% a giugno e lo 0,2% sia ad agosto che a settembre del 2020; a gennaio 2021 la quota è pari al 3,8% e a febbraio 2021 pari all’1,6%. Rispetto al monitoraggio del 31 gennaio 2021 (461 casi), i decessi sono 38 in più, di cui 8 a febbraio e 6 a gennaio del 2021, 14 a dicembre e 7 a novembre dello scorso anno; i restanti tre decessi riconducibili ai mesi precedenti (il consolidamento dei dati permette di acquisire le informazioni non disponibili nei mesi precedenti). Per i casi mortali, pertanto, a differenza delle denunce in complesso, è la prima ondata dei contagi ad avere avuto un impatto più significativo della seconda: 67,8% è, infatti, la quota sul totale dei decessi da Covid-19 denunciati nel trimestre marzo-maggio 2020 contro il 29,6% del periodo ottobre 2020-febbraio 2021. L’83,0% dei decessi ha interessato gli uomini, il 17,0% le donne (al contrario di quanto osservato sul complesso delle denunce in cui si rileva una percentuale superiore per le donne); l’età media dei deceduti è 59 anni (56 per le donne, 59 per gli uomini) così come l’età mediana (quella che ripartisce la platea – ordinata secondo l’età – in due gruppi ugualmente numerosi), 57 anni per le donne e 60 per gli uomini (81 anni quella calcolata dall’ISS per i deceduti nazionali).

Ovviamente trattandosi di decessi da infortunio sul lavoro l’età è quella propria di persone ancora attive. Altrimenti non ci sarebbe l’infortunio sul lavoro“.

Erica Venditti

Erica Venditti, classe 1981, dal 2015 giornalista pubblicista. Dall'aprile 2012 ho conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.

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