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Festa della donna, 8 marzo: ma serve una data per ‘discolparsi’?

Oggi 8 marzo si festeggia la Giornata internazionale della donna, chiamata più comunemente ‘festa della donna’. Uno dei messaggi che più mi hanno colpito stamane tra quelli che ho ricevuto é stato questo: “Perché fare gli auguri alle donne l’otto marzo? Essere donna non é una ricorrenza, e non credo serva “egoisticamente” fare loro gli auguri. Bisogna apprezzarle, rispettarle, stimarle , amarle 365 giorni all’anno. Io non faccio gli auguri. A tutte le donne, siano essere madri, figlie, sorelle, mogli, amanti, amiche dico GRAZIE, GRAZIE di esistere, GRAZIE di condividere con noi tutti i momenti della vita.” Effettivamente non potevo leggere parole più belle, la donna, in fondo nella quotidianità e sul lavoro altro non vorrebbe che questo: ‘essere riconosciuta’. Anche se purtroppo la strada, inutile girarci intorno, é molto in salita.

Per quanto riguarda i ruoli in famiglia molto dipende da noi, pienamente concorde con quanto afferma Orietta Armiliato, amministratrice del CODS, che afferma che finché non vi sarà una seria alfabetizzazione sociale che parta dalle donne per le donne, non avremo speranze di cambiare aspetti culturali radicati. Non é possibile continuare a ringraziare i propri partner per l’aiuto che offrono nelle mansioni domestiche o nella cura dei figli. In quanto come afferma Armiliato ” é il concetto di aiuto ad essere profondamente sbagliato nella fattispecie, poiché gli impegni quotidiani debbono essere equamente condivisi in modo da non sovraccaricare di lavoro e di responsabilità un componente piuttosto che l’altro“.

Per quanto riguarda il lavoro le disparità salariali e poi di conseguenza pensionistiche purtroppo continuano ad essere evidenti, la conciliazione lavoro e famiglia ancora un’utopia. Un bellissimo editoriale, giuntomi come omaggio graditissimo, é quello del Prof Cazzola, che qui vi ripropongo, da cui é possibile trarre davvero molti spunti interessanti e far tesoro di quella che non può più essere solo una ricorrenza.

Festa della donna 2021, l’analisi del Prof Cazzola

“Molti degli articoli che oggi celebrano la Festa della donna hanno, prima o poi, inserito nel testo la frase ficcante di Mario Draghi nel discorso sulla fiducia: ‘’Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge’’. Che cosa significano queste affermazioni? Draghi prende posizione su di un tema controverso che ha fatto parte del dibattito sulla parità di genere e che è sembrato l’unico rimedio (ancorché indotto) per rompere il soffitto di cristallo che mortifica l’accesso delle donne alla ‘’stanza dei bottoni’’ delle professioni e dei ruoli politici e istituzionali? Qualcuno potrebbe pensare che possa sembrare ben più ‘’farisaico’’ l’impegno a garantire ‘’parità di condizioni competitive tra generi’’. Perché le ‘quote rosa ’’ sono la risposta – se non vogliamo parlare di fallimento – alla mancata affermazione di ‘’parità di condizioni competitive tra generi’’.

Draghi si sarà accorto che è sorta una polemica sulla composizione di genere della sua compagine governativa: una questione che ha accelerato la crisi del gruppo dirigente del Pd in conseguenza dell’assenza di donne nella delegazione ministeriale dem non compensata adeguatamente negli incarichi di vice ministro e sottosegretario e neppure affrontata a livello della segretaria del Nazareno. Tanto che il segretario dimissionario Nicola Zingaretti non si accontento di essersi dimenticato delle donne nel proporre i nomi dei ministri, ma commette un’ulteriore gaffe quando motiva le ragioni del suo farsi ‘’di lato’’: ‘’Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie’’. Si vede che aveva dimenticato che, a parlare giustamente di poltrone, erano le militanti dem che si sentivano discriminate.

Ma il giudizio ‘’di genere’’ sul governo di Mario Draghi non cambierebbe se al posto di un uomo nella delegazione del Pd, entrasse una donna, perché, a fare la prova finestra dei titolari dei Dicasteri che gestiranno il ‘’pacchetto NGEU’’ – ovvero i supertecnici scelti direttamente dal presidente del Consiglio – troviamo solo uomini (Franco, Colao, Giovannini, Orlando, Bianchi, Cingolani). Per non parlare del governo vero di quest’anno martoriato, quel Comitato tecnico-scientifico (Cts) che ha deciso, nei fatti, della nostra vita, del nostro lavoro, dei nostri rapporti personali, delle nostre attività economiche. Tra rappresentanti delle istituzioni sanitarie ed esperti sono una ventina di componenti, tutti, ma proprio tutti uomini. Ciò significa che sono solo uomini le persone alla testa delle istituzioni (e passi), ma che non si riconosce a nessuna donna scienziata (tra quelle che tutti hanno visto e apprezzato nei talk show televisivi) la qualifica di esperta. Attenzione però a non commettere l’errore di fissare lo sguardo sul dito che indica quella luna che sfugge alla nostra attenzione.

Ciò che avviene sulla scena politica e nel gotha dell’élite è la proiezione di quanto succede nel microcosmo delle comunità, dei posti di lavoro, nelle famiglie. Il Covid-19 per mesi ha rinchiuso tra le mura domestiche le coppie in cui ambedue i congiunti hanno un lavoro. Lasciamo stare il gossip, le conseguenze affettive, anche quando sono sfociate nella violenza. Limitiamoci alla banalità della discriminazione. L’INAPP ha pubblicato un working paper (WP) a cura di Valentina Cardinali dal titolo molto significativo: ‘’ Il lavoro di uomini e donne in tempo di Covid. Una prospettiva di genere’’.

Quanto pesa il lavoro di cura sulle donne?

La motivazione principale per il rientro al lavoro fuori casa sia per uomini che per donne è legata innanzi tutto – il che è ovvio – al calendario di riaperture dei settori e delle attività produttive in cui sono occupati e, in seconda battuta, alle richieste specifiche del datore di lavoro o committente. Il fenomeno, quindi, riflette la composizione di genere dell’occupazione nei diversi settori economici; presenta pertanto motivazioni che prescindono dalle intenzioni e disponibilità dei soggetti, siano essi uomini o donne. Emergono tuttavia dall’indagine alcuni elementi che attengono alla sfera dei rapporti interni alla coppia e delle scelte individuali e familiari; elementi che – come rileva il WP – sono la spia di un rischio di rafforzamento delle criticità di genere nella partecipazione al mercato del lavoro e alla sfera produttiva.

Viene infatti segnalato il caso dell’8% delle lavoratrici dipendenti e il 15% delle autonome/indipendenti che afferma che “l’ordine di rientro al lavoro è stato il risultato di un accordo col partner”: si tratta di donne prevalentemente con figli o carichi familiari, con reddito medio annuo dichiarato come “inferiore al partner”. Se invece, la tipologia lavorativa dei componenti la coppia consente di scaglionare i rientri al lavoro fuori casa, in presenza di carichi familiari, si realizza un ‘accordo’ in base al quale la donna rimanda il suo rientro al lavoro – uno stop che può essere temporaneo o vicino alla decisione di dimettersi definitivamente per esigenze familiari, cristallizzando la distinzione di genere tra lavoro di cura non retribuito e lavoro per il mercato. Conferma ulteriore – secondo il WP – viene fornita dal fatto che alle seguenti enunciazioni hanno risposto solo donne e non uomini, sia dipendenti che autonome/indipendenti: “Potevo rientrare al lavoro ma abbiamo valutato in famiglia che era più opportuno che io restassi ancora un po’ a casa” e “Il carico familiare richiede che una persona resti a casa: mi dimetto/lascio il lavoro”. Questa indagine ci autorizza ad affermare che la parità di genere inizia nella coppia.

Festa della donna e parità di genere: la ‘lotta di genere’ inizia nella coppia

E’ lì che si svolge, in prima battuta, la ‘’lotta di genere’’. Si è soliti fare riferimento alla diffusione dei servizi sociali come prima condizione per la liberazione della donna. Ed è vero. Attenzione, però: che i servizi sociali non garantiscono un’altra libertà, quella dell’uomo a sentirsi esonerato da qualunque responsabilità familiare che resta un problema della donna anche se può caricarne una parte sui servizi. In sostanza, gli asili nido, le scuole materne, il tempo pieno, l’assistenza domiciliare degli anziani non possono essere dipinti di rosa e condizionare – da soli – la marcia verso la parità di genere come se, per conseguirla, alla donna occorresse una stampella sociale in modo permanente. Sarà stata una mossa propagandistica, ma un premier scandinavo ha usufruito anni fa di un congedo parentale senza doversi dimettere.

Ursula von der Leyen ha sette figli, nati nell’arco di un decennio, ma ha ricoperto grandi responsabilità in politica. Certo, nel suo caso ‘’nomina sunt consequentia rerum’’. Ma è provato che laddove esiste una sostanziale piena occupazione per le donne vi è anche una minore denatalità.

Finisco col segnalare un attacco volgare alle donne che –mi pare- sia ignorato. In molti siti on line anche seri e prestigiosi, vi è una rubrica in cui sono presentati volti e mezzi busti di attrici e in generale di belle donne (la bellezza delle donne – io sono all’antica – è un dono di Dio che come tale merita una sincera devozione) in cui si mette a confronto come queste persone erano da giovani e come sono oggi, divenute mature signore (spesso sempre bellissime e appetitose). Oppure vengono presentate prima e dopo il trucco. A me sembra una cosa insensata e offensiva. Comunque, buon 8 marzo!”.

Da donna, Professor Cazzola dopo aver letto le sue considerazioni, mi sento di dirle solo una parola: GRAZIE!

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Erica Venditti

Erica Venditti, classe 1981, dal 2015 giornalista pubblicista. Dall'aprile 2012 ho conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.

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