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Zingaretti, dimissioni irrevocabili? Ne parliamo con il Prof Cazzola

In queste ore sta facendo discutere moltissimo la decisione di Nicola Zingaretti di dimettersi, pare infatti che il segretario del Pd non abbia intenzione di tornare sui suoi passi. Infatti nelle ore scorse ha cercato di spiegare le ragioni del suo gesto nel corso dell’inaugurazione di un playground alla periferia di Roma, come riporta TGCom24.

Il tema non é un mio ripensamento. Ma mi auguro che il mio gesto aiuti il Pd a ritrovare la voglia di discutere anche con idee diverse ma con più rispetto ed efficacia. Il gruppo dirigente faccia un passo avanti”. Poi avrebbe aggiunto: “Io ce l’Ho messa tutta ma non sono riuscito a cambiare questo clima. Ho fatto un passo di lato , non scompaio”. Poi ha ricordato che non é prevista dallo statuto la possibilità che l’assemblea rigetti le sue dimissioni. Abbiamo deciso di confrontarci con il Prof Giuliano Cazzola, giuslavorista, relativamente a questa scelta di Zingaretti che ha gettato un pò di caos nel nuovo Governo. Vi lasciamo al suo editoriale, scritto con la solita maestria ed originalità che contraddistingue il Professore, senza null’altro aggiungere.

Zingaretti, dimissioni scelta saggia in questo momento?

Così Cazzola: “Mettiamo il caso che il marziano di Ennio Flaiano fosse tornato a Roma con l’incarico ‘’dei maggiori suoi’’ di  analizzare gli importanti ed impensabili cambiamenti intervenuti, nel quadro politico, dal 2018 ad oggi; e che, in prima battuta, l’extraterrestre si sia recato di nascosto al Nazareno alle 16 di ieri quando è scoppiata la bomba delle dimissioni di Zingaretti, il dirigente dal quale l’ospite del pianeta rosso era interessato a capire come era stato possibile che il Pd, sconfitto alle elezioni politiche di due anni prima, fosse riuscito in breve tempo, senza dover ricorrere al voto (come in Usa per battere il Donald) tornare al governo con quella stessa forza politica che le elezioni le aveva vinte ed aveva governato per una quindicina di mesi con un altro partito ‘’antisistema’’.

Anche su Marte le cose seguono una logica. Agli studiosi di politica di lassù sembrava normale che,  dopo tanto penare, il Pd considerasse un successo trovarsi al centro di una coalizione nazionale, all’interno di un perimetro che un premier autorevole  (Mario Draghi, arcinoto e stimato anche a livello interplanetario) aveva  tracciato davanti al Parlamento: ‘’Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione’’. In sostanza a romanizzare i barbari ci aveva pensato lo stesso Mario Draghi.

Certo il Pd non era stato molto pronto a capire la manovra di Matteo Renzi (il quale peraltro era il primo a non credere di avere un successo tanto clamoroso).  Mentre il presidente  Mattarella tesseva la tela per portare Draghi al governo (senza nominarlo senatore a vita per non rivelare le sue intenzioni), il Pd giurava fedeltà a Conte e si metteva alla caccia dei ‘’cani senza collare’’ dispersi tra gli scranni del Senato allo scopo di confermare per la terza volta ‘’Giuseppi’’, nonostante la crisi aperta dal nuovo Maramaldo toscano.

Per come erano andate le cose i dem non devono neppure fare lo sforzo di spiegare perché stavano al governo con Salvini, visto che potevano cavarsela  con il solito ‘’ce lo chiede l’Europa’’; perché Mario Draghi è l’Europa. Ed è lui il garante dell’alleanza che lo sostiene. Per il Pd essere al governo con l’ex presidente della Bce poteva costituire un periodo di pace dopo tante peripezie. Invece no. Il partito si è diviso tra quanti (lo stesso Zingaretti?) si disperano per il ‘’ratto’’ di Conte da parte di Grillo, senza capire che questo è un passo decisivo per rendere il M5S un partito come gli altri e non più un compagno di strada da non presentare in società. Dall’altra parte vi sono quelli che intendono dissociare il loro destino dai pentastellati, benché abbiano governato per più di un anno con loro, quando ancora non avevano mutato la loro collocazione politica.  

Governo Draghi potrà farcela e cambiare rotta?

Il governo Draghi ha i numeri per fare sul serio, sempreché non si lasci travolgere – come il Conte 2 – dalla gestione della pandemia restando imprigionato nella ragnatela dei dpcm che chiudono le attività economiche e le città e dei decreti per erogare quei bonus che un tempo si chiamavano ristori e che per ora hanno cambiato solo nome.

Non è un bel segnale che il governo eviti di invertire il cammino nella strada, priva di uscita, del blocco dei licenziamenti. Certo, nessuno si aspettava il <pesce d’aprile> del ritorno alla normalità; ma qualche modifica ragionevole e selettiva sarebbe stata opportuna, come sostanziale segno di discontinuità.  

Sono convinto che l’Assemblea nazionale rivolgerà un appello a Nicola Zingaretti invitandolo a ritirare le dimissioni promettendogli una nuova unità del partito e cessando di agitare la convocazione del Congresso come una clava. Auguriamoci che finisca così. Il Pd ha ben pochi meriti nell’aver concepito e agevolato l’operazione Draghi. Ce ne siamo fatti una ragione. Sempreché questo partito non si trasformi in un fattore destabilizzante”.

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Erica Venditti

Erica Venditti, classe 1981, dal 2015 giornalista pubblicista. Dall'aprile 2012 ho conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.

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