• POLITICA

Il premier Conte “Smettete con i litigi da campagna elettorale”

ROMA. Se continuano i litigi da campagna elettorale, si rischia di “mettere in discussione il percorso di cinque anni di governo del cambiamento”. Arriva dall’estremo Oriente l’avvertimento di Giuseppe Conte ai suoi vicepremier. L’eco dello scontro tra M5s e Lega sui più svariati temi, dalle province all’autonomia, giunge lontano, a raccontare un governo instabile. Conte da Pechino assicura che con i vicepremier lavora “per la stabilità di governo”: ne va, sottolinea, del “bene dell’Italia” e della sua immagine all’estero. Ma Matteo Salvini si sfoga apertamente per le “troppe seccature” causate dal M5s.

Mentre Luigi Di Maio arriva a unirsi all’opposizione nel chiedere alla Lega di “chiarire” i presunti legami con il clan Di Silvio a Latina. Armando Siri. Porta il nome del sottosegretario leghista il dossier più spinoso di politica interna che attende Conte al suo rientro in Italia, in nottata. Lo deve vedere, ascoltare, deve decidere se chiedergli il passo indietro per l’inchiesta per corruzione che lo vede indagato. E all’uscita dalla sua visita alla Città proibita di Pechino, quando in Italia sta appena albeggiando, il premier fa mostra di voler risolvere la questione in fretta: “Confido di vederlo domani”. Quattro ore dopo, però, Palazzo Chigi fa sapere che è “molto probabile” che il colloquio slitti “ai giorni successivi”, anche perché martedì Conte – con Di Maio e Salvini – sarà a Tunisi. Con il leader della Lega i nervi sono assai tesi.”Conte non fa il giudice: se mi presenta un atto concreto contro Siri sono pronto a discuterne, ad ora non ce ne sono”, dichiara il leader leghista in una dura intervista alla Stampa. Il premier ribatte puntuto che la decisione è tutta politica: “L’ho detto anche io che non sono un giudice. Non è certo con l’approccio del giudice che affronterò il problema Siri”. In gioco, Conte è convinto, c’è la credibilità del governo di fronte ai cittadini: è pesante l’ombra di un’accusa di corruzione. Perciò nel M5s sono convinti che il presidente del Consiglio chiederà un passo indietro al sottosegretario, se non lo farà da solo per togliere le castagne dal fuoco a tutti. Ma dalla Lega smentiscono voci di dimissioni spontanee di Siri. Circola – anche questa smentita – l’ipotesi di un’autosospensione cautelativa del sottosegretario. Ma Di Maio, che sul punto non può permettersi di cedere, incalza: “Ho fiducia nel premier. Non possiamo pensare che Siri resti”.

Stretto nella tenaglia dello scontro preelettorale dei suoi due vice, Conte alla fine decide di prendere tempo. Magari attendere, prima di vederlo, che Siri venga ascoltato – forse a inizio settimana – in procura e abbia accesso agli atti dell’inchiesta. Nel frattempo il premier dà mandato di smentire di aver già deciso e chiesto a Siri di lasciare per non far saltare il governo. Ma il caso è una mina, per due alleati dai rapporti già logorati. Salvini nega che sia minacciata la tenuta del governo. L’irritazione leghista trapela però dalle parole di Giancarlo Giorgetti: “Le priorità sono altre”, dice il sottosegretario. Ma anche sulle priorità sono botte da orbi, nel governo. Salvini, parlando agli elettori del Nord, auspica “a brevissimo” in Consiglio dei ministri le intese per le autonomie regionali e poi un veloce passaggio in Parlamento. Di Maio subito frena, parlando all’elettorato del Sud: “Il Movimento 5 Stelle sarà garante della coesione nazionale, perché non ci siano scuole di serie A e di serie B”. Prosegue anche lo scontro sulle province, sul quale Conte sarà chiamato a una nuova mediazione al ritorno in Italia. “Quelle 2500 poltrone in più con il MoVimento 5 Stelle non passano. No ad altri serbatoi clientelari, no ad altra burocrazia. Bisogna semplificare le cose, non complicarle!”, scrive sui social Di Maio, contestando la bozza per l’elezione diretta degli organi provinciali. Ma a quel tavolo, ricorda Salvini, c’era anche il M5s: “Il percorso era stato deciso insieme. Non possono sempre oscillare tra Sì, No e Forse. Si mettano d’accordo con se stessi. Se Di Maio mi dice chi sistema scuole e strade andiamo d’amore e d’accordo. Ma le seccature – si sfoga il leader leghista – cominciano a essere troppe”.

Tags

Articoli correlati