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La spettacolarizzazione del vaccino è un bene o un male per l’Italia?

Il 27 dicembre scorso è scattato ufficialmente in Italia e nei Paesi membri dell’Unione Europea, a parte l’Ungheria che per volere dell’istrionico primo ministro Viktor Orbán ha anticipato di un giorno la tempistica, il tanto atteso V-Day ovvero la prima giornata dedicata alle vaccinazioni anti Covid.

Le prime dosi del vaccino giunte nel nostro Paese, 9.750 per la precisione, prodotto dalla casa farmaceutica statunitense Pfizer-Biontech sono state somministrate ad alcune personalità ritenute “simbolo” della lotta al Coronavirus come medici, infermieri, virologi, personale socio-sanitario e pazienti delle Rsa.

Ma l’Italia, oltre ad essere patria di “santi, poeti e navigatori”, è anche terra fertile di polemiche. In molti si sono scagliati contro l’operato del governo accusato di speculare sulla ‘spettacolarizzazione‘ mediatica delle vaccinazioni, evento che a detta dei più polemici non dovrebbe essere ostentato in televisione, sui principali mezzi di informazione e sui social. In sostanza secondo quest’ultimi l’inoculazione del vaccino dovrebbe essere considerata alla stregua di un momento di raccoglimento, di meditazione o di preghiera. L’idillio verrebbe spezzato in quanto si creerebbe una sorta di show intorno ad un momento così personale come quello della vaccinazione.

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Forse la cosiddetta “spettacolarizzazione” potrebbe avvenire nel momento in cui un soggetto non appartenente ad una di quelle categorie considerate dal governo ‘prioritarie’ decidesse di mostrare la propria vaccinazione ai ‘quattro venti’ unicamente per un mero fine personale, legato ad esempio a futili motivi come aumentare la propria visibilità e acquisire consenso pubblico. Ma qui stiamo parlando solo ed esclusivamente di supposizioni partorite da una mente non illuminata come quella del sottoscritto e il possibile riferimento al presidente della Campania, Vincenzo De Luca, rappresenta una ‘fortuita coincidenza’.

Ma a parte quest’ultima digressione il terreno delle polemiche dovrebbe essere tramutato in “terreno della condivisione” perché mostrare la propria adesione alla campagna vaccinale contro il Sars-Cov-2 rappresenta la condivisione di un atto di estrema generosità nei confronti di tutti gli italiani. Senza dimenticare il coraggio contenuto in chi ha compiuto quel gesto.

Per compiere un gesto all’apparenza così semplice è necessario esistano due presupposti fondamentali: la fiducia nei confronti del lavoro svolto da parte della comunità scientifica e che il bene comune sia più importante di quello personale.

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Quest’oggi sul quotidiano La Stampa è stato pubblicato un interessante articolo firmato da Liliana Segre dal titolo “La preghiera laica al popolo No Vax“, una sorta di appello ‘gentile’ nei confronti di chi crede all’inutilità del vaccino anti Covid. Mi hanno colpito molto i toni pacati e gentili della senatrice che ha ricordato come davanti ad un ‘nemico invisibile’ come questo virus ognuno abbia un atteggiamento diverso: c’è chi lo combatte duramente, chi ne è indifferente e infine chi addirittura decide di adeguarsi scendendo a patti. Ma ricorda che si dovesse scegliere tra la distruzione dell’Umanità oppure la sopravvivenza del genere umano la scelta da fare dovrebbe essere immediata: scegliere di vaccinarsi e quindi optare per la vita.

Una decisione che alcuni scettici ritengono possa comportare dei rischi di salute a livello personale. E se così fosse, anche se non ci sono dati scientifici a supporto di teorie che parlano di possibili reazioni allergiche, paralisi, problemi di salute più o meno gravi (se non alcuni casi sporadici le cui cause non sono ancora certe), la domanda alla quale ognuno di noi dovrebbe rispondere è la seguente: il mio bene viene prima di quello dell’intera umanità?

Ritornando al discorso della ‘spettacolarizzazione’ del momento nel quale si viene vaccinati l’intento principale è quello di mostrare come ci siano molte persone che credono ci possa essere un futuro migliore per noi e per le prossime generazioni. Per realizzarlo sono pronti a combattere in prima linea, ‘sacrificandosi’ (mi sia permesso utilizzare questo termine anche se un po’ forte) e mettendoci la faccia.

Come ha fatto Claudia Alivernini, infermiera dell’ospedale Spallanzani di Roma, prima donna italiana a ricevere il vaccino Pzifer Biontech, insultata pesantemente sui social dai No Vax. Intervistata dal Messaggero la 29enne ha affermato: “Non mi aspettavo tanta cattiveria, un odio così grande, tanto veleno e rabbia, ma io lo rifarei subito, lo rifarei mille altre volte ancora, per tutti i miei colleghi che sono morti per aiutare gli altri, per tutti coloro che hanno perso la vita stroncati dal Covid e io ne ho visti tanti, troppi, di pazienti andare via…”. Questo è un vero esempio di coerenza e di coraggio esercitato solo attraverso l’uso delle parole, senza ricorrere in alcun modo alla violenza, verbale o fisica che sia.

Dal 27 dicembre è iniziata una nuova fase della storia umana. Sta a noi scegliere in che modo affrontarla e qual è il risultato che vogliamo raggiungere. Va ricordato che dare l’esempio al prossimo è sempre positivo, specie se questo gesto ha una finalità nobile, possibile che se tale atto rimanesse nascosto il suo nobile fine andrebbe in parte vanificato.

In riferimento alle vaccinazioni anti Covid possiamo parlare di ostentazione, spettacolarizzazione, show time, atto esibizionistico o sfoggio esagerato, ma rimane pur sempre, a mio umile parere, un nobile atto di altruismo. Si può condividere o meno, ma non va condannato. Così come non vanno condannati i No Vax. La formula fondamentale della convivenza civile e democratica risiede sempre in una piccola parola dai poteri magici: il dialogo. Spesso al dialogo si preferisce il monologo a senso unico.

Sebbene mi rendo conto sia pura utopia sogno un vaccino contro l’arroganza e la presunzione che spesso inducono alla ‘tuttologia’ affinché il mondo possa, libero dai pregiudizi, aprirsi maggiormente al dialogo verso il prossimo. Forse si baderebbe meno alla forma e più alla sostanza dei singoli gesti.

Carlo Saccomando

Carlo Saccomando

Classe 1981, giornalista pubblicista. Poco dopo gli studi ha intrapreso la carriera teatrale partecipando a spettacoli diretti da registi di caratura internazionale come Gian Carlo Menotti, fondatore del "Festival dei Due Mondi" di Spoleto, Lucio Dalla, Renzo Sicco e Michał Znaniecki. Da sempre appassionato di sport lo racconta con passione e un pizzico di ironia. Attualmente dirige il quotidiano "Il Valore Italiano".

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