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Omicidio a Brescia, assolto o prosciolto per ‘delirio di gelosia’?

Non poteva non fare discutere la decisione del Tribunale di Brescia relativa ad un omicidio efferato avvenuto nel 2019, ove un uomo 79enne aveva prima tramortito con un colpo alla testa la moglie, 62 enne insegnante di una scuola superiore, per poi tagliarle la gola e vegliarla per ore prima di dare l’allarme.

Il processo a carico di Antonio Gozzini, si legge oggi sui maggiori media online e sui quotidiani, è concluso e l’imputato risulta essere stato: assolto per ‘delirio di gelosia’.

Chiaro che letta così è una sentenza, che da donna, fa quasi spavento, pare tornare in auge, tra le righe, il delitto d’onore, vigente fino al 1981, ove il gesto di violenza nei confronti della propria donna veniva giustificato, per quanto possa parere paradossale così stabiliva purtroppo la legge, in difesa dell’onore del marito, che era stato costretto ad agire per difendere la propria reputazione.

Il ‘Delirio di gelosia’ diviene la giustificazione dell’atto commesso, come se fosse normale uccidere il proprio partner perché si è eccessivamente gelosi, portando ad una sorta di rivittimizzazione della vittima stessa, che viene quasi uccisa due volte legittimando l’assassino per aver compiuto il fatto con frasi del tipo: ‘eccessivo amore’, ‘agito per gelosia’, ‘lei voleva lasciarlo’, lei l’aveva tradito’ .

Se partiamo dal presupposto che come stabilisce l’articolo 90 del codice penale ‘gli stati emotivi non escludono l’imputabilità’, va da sé che una sentenza di questo tipo, di primo acchito, non può far altro che riflettere e rabbrividire.

Specie se si analizzano le parole di chi ha difeso l’anziano: “Siamo soddisfatti perché la sentenza rispecchia quanto emerso nel dibattimento e cioè che il mio assistito non era capace di intendere e volere, In fase processuale il consulente dell’accusa e quello della difesa sono stati d’accordo nel dire che l’uomo era in preda ad un evidente delirio da gelosia che ha stroncato il suo rapporto con la realtà e ha determinato un irrefrenabile impulso omicida”. La difesa dell’uomo, non presente in aula, aveva chiesto l’assoluzione ritenendo incapace di intendere e volere Gozzini al momento dell’omicidio, come riconosciuto dalla Corte, mentre il pm Claudia Passalacqua aveva chiesto per l’efferatezza dello stesso che all’uomo fosse dato l’ergastolo.

Cirinnà non si può assolvere un femminicidio per ‘delirio di gelosia’

Sulla sentenza è intervenuta anche, attraverso un post sul suo profilo Facebook, la senatrice Monica Cirinnà, responsabile diritti per il Pd, dicendo: “Non sono solita commentare le sentenze, ma di fronte a un’assoluzione di un femminicidio per ‘delirio di gelosia’ credo non si possa tacere. Sembra purtroppo un dejavù, un terribile ritorno al passato, invece è la triste realtà. Aspetteremo ovviamente di leggere le motivazioni di questa sentenza, ma il senso sembra purtroppo chiaro e terribile: questo femminicidio non è stato riconosciuto come tale e un marito in preda alla gelosia può uccidere la moglie senza essere condannato all’ergastolo”.

Leggendo i commenti lasciati sotto al post oltre ai molti che confermavano la gravità della sentenza e massima condivisione relativamente alle parole pronunciate dalla Senatrice, ve ne sono stati alcuni che hanno attirato la mia attenzione in quanto andavano controcorrente, e che qui ritengo doveroso riportare, in nome di quell’informazione a 360° che è sempre bene dare e che potrebbe permettere di inquadrare meglio la vicenda e soprattutto ridare un senso, se di senso si può parlare, alla sentenza. Questa la ragione per cui, a differenza di molti colleghi, ho preferito intitolare il pezzo assolto o prosciolto?

Monica Cirinnà, senatrice Pd (Twitter)

Delitto di Brescia, l’imputato non è stato assolto, ma prosciolto per ‘delirio di gelosia’

Eccovi le considerazioni espresse da Nicola. C: L’imputato NON è stato assolto ma è stato prosciolto, per vizio totale di mente, con applicazione di una misura di sicurezza detentiva (potenzialmente per sempre). E ci sono tre gradi di giudizio in Italia (nel penale, almeno ad oggi). Fare il tifo temo non giovi alla giustizia”

Antonio C, uno psichiatra ha avvalorato quanto su scritto, facendo notare alla Cirinna che “Tutte queste persone non sono libere. Sono in rems (strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza, che hanno sostituito gli opg – ospedali psichiatrici giudiziari – da pochi anni. L’assoluzione per non imputabilità per infermità di mente NON SIGNIFICA non scontare condanne ed essere liberi. Anzi, siccome la “pericolosità sociale” non viene mai ritirata significa generalmente fare il massimo della pena (a differenza di chi va in carcere) e prima della legge sul passaggio opg – rems (6 anni fa) c’era chi faceva “ergastoli bianchi” anche solo per un furto, per il quale era stato dichiarato incapace di intendere e volere, ma essendo “matto” non veniva mai revocata la misura che poteva persino eccedere il massimo della pena prevista per il reato in questione (faccio lo psichiatra e lavoro anche in carcere).

Roberta D.L: Mi spiace leggere di “assoluzione”. Non è così. È un proscioglimento per incapacità di intendere e volere. Il che implica che l’imputato sarà ristretto in una Rems a tempo indeterminato. Il riferimento alla gelosia è qui fuori luogo”.

Ho cercato nei vari articoli di giornale ed alcuni riportano effettivamente al fondo, andando oltre al titolo d’effetto, anche questa specifica che forse ai più era sfuggita e che non viene effettivamente riportata in tanti scritti, ove si preferisce enfatizzare altri aspetti della vicenda.

Riporto dunque le righe contenente la specifica suddetta, messa in chiaro dal Giornale di Brescia: “Con la sentenza di assoluzione la Corte d’Assise ha disposto il trasferimento dell’uomo, attualmente in carcere, in una Rems, la residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza”.

Questo seppur permette di avere un quadro più completo della vicenda, a mio avviso, non attenua l’amarezza per la sentenza, tant’è che il pm Claudia Passalacqua ha già annunciato ricorso in appello. A suo dire infatti l’uomo avrebbe compiuto l’omicidio mosso dalla vendetta perché la moglie voleva farlo ricoverare in ospedale per la sua depressione. Poi il magistrato avrebbe aggiunto:È pericoloso far passare il messaggio che in quel momento non era capace di intendere e volere perché geloso».

Delirio di gelosia e omicidi: non è questione di genere

Vi è anche chi come Davide D, sotto al post fa notare come in passato anche alcune donne siano state ‘graziate’ per incapacità di intendere e volere, per farlo riporta alcuni titoli di giornale, volendo evidenziare come il problema non sia di genere ma la ‘folle’ gelosia possa essere comune ai due sessi.

“Uccise il compagno a martellate, assolta per infermità mentale” o ancora “ Modena: uccise ed evirò il compagno, assolta per non imputabilità”.

Sembrerebbero pertinenti le osservazioni di Davide non fosse che proprio ieri assolvendo al mio obbligo di formazione continua, essendo iscritta all’ordine dei giornalisti, ho frequentato un corso davvero molto calzante relativamente al dibattito attuale, dal titolo: Violenza contro le donne: le regole dell’informazione’. Ove la giornalista Silvia Garambois, che dal 97 fa parte della Commissione Pari opportunità della Federazione della Stampa e da maggio 2019 Presidente di GiULia Giornaliste, ha ricordato come il 46.3% delle donne assassinate siano state uccise da mariti, fidanzati, ex partner, mentre SOLO il 2.2% delle vittime per gelosia da parte delle compagne siano uomini. Ragion per cui mi pare che i dati evidenzino più che mai uno squilibrio di genere ai danni delle donne per quanto concerne le violenze tra le mura domestiche.

La Garambois ha ricordato come spesso siano i media stessi, non accorti al linguaggio usato, a portare avanti stereotipi culturali e giustificazioni assurde che tendono a nascondere un solo fatto: l’omicidio in sé, ove non possono esistere giustificazioni di alcun tipo.

A mio avviso, sposando in toto quanto appreso nel corso, solo mettendo in luce anche nel titolo la gravità del gesto compiuto ai danni di una donna, dando evidenza dei fatti senza sminuire sempre l’accaduto aggiungendo assurde giustificazioni che avrebbero indotto l’uomo ad agire, si potrà davvero innescare una lotta contro il femminicidio che potrebbe partire, perché no, proprio dai media stessi.

Erica Venditti

Erica Venditti

Erica Venditti, classe 1981, dal 2015 giornalista pubblicista. Dall'aprile 2012 ho conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.

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