A nove mesi di distanza dalla scomparsa di Silvia Romano, la volontaria milanese di 23 anni rapita il 20 novembre scorso mentre si trovava nel villaggio di Chakama, in Kenya, è finalmente iniziato il processo per far luce sulla vicenda. Purtroppo pare sia cominciato sin da subito con un’importante colpo di scena: secondo quanto riportato dal quotidiano Il Fatto Quotidiano, uno dei due indiziati, Moses Luari Chende sarebbe nuovamente libero, avendo pagato una cauzione pari a 25mila euro.
Come negli Stati Uniti, anche in Kenya è possibile pagare una cauzione per essere liberi durante il corso del procedimento giudiziario, in attesa della sentenza definitiva. Ma la particolarità è che la cifra erogata dall’imputato rappresenta una cifra enorme: la paga media da quelle parti si aggira intorno ai mille euro l’anno. Inoltre la prima udienza si è svolta tra innumerevoli complessità, tra cui la quasi impossibilità di tradurre la lingua swahili.
Inoltre l’imputato in questione non ha un legale non d’ufficio, ma ha deciso di avvalersi di un professionista la cui parcella dovrebbe essere piuttosto consistente. Il dubbio è che dietro l’esecutore materiale del rapimento ci sia qualche personaggio importante e benestante che si stia occupando di pagare le spese processuali.
Chende era presente in aula, insieme all’altro uomo accusato del rapimento della cooperante italiana, Abdulla Gababa Wari, che però non è riuscito a pagare la lauta cauzione. Un terzo inquisito, Ibrahim Adan Omar, sarà invece giudicato in un processo a parte che inizierà il 19 agosto.
Durante il dibattimento sono state mostrate ai testimoni le due motociclette che i banditi avrebbero usato per portare via Silvia Romano dal villaggio in cui lavorava. Il problema è che non si ha la certezza il rapimento sia avvenuto a bordo di quei mezzi, in quanto alcuni testimoni hanno affermato che la ragazza fosse stata portata via di forza, presa in spalla. La pubblica accusa è affidata a Alice Mathangani, mentre il giudice è la signora Julie Oseko.
Carlo Saccomando