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Scuola, il diritto all’istruzione e il diritto alla formazione professionale

Parlare di diritto all’istruzione senza fare riferimento e collegamento anche al diritto alla formazione professionale significa affrontare le problematiche educative solo in termini parziali e pure significa non tenere conto di precise indicazioni della Costituzione italiana che in diversi articoli affronta questa tematica.

Mi riferisco in modo particolare all’art. 35 che, nei suoi contenuti, richiama anche i primi tre articoli della Carta fondamentale. Facendo un po’ di storia della Costituzione va innanzitutto rilevato un fatto: i padri Costituenti si sono trovati, per quanto riguarda il diritto alla formazione professionale, di fronte ad una materia nuova, mai fino a quel momento trattata dal legislatore.

Fino a quegli anni , infatti, lo Stato non aveva legiferato in materia, perché la cosiddetta preparazione tecnica era lasciata agli enti locali in molte circostanze, altre volte era prerogativa delle camere di commercio che, con i loro consorzi, provvedevano a organizzare corsi di addestramento professionale.

Il legislatore costituente, invece, non solo deve prendere in esame e deve normare in termini più precisi il vasto campo dell’istruzione, ma è costretto dalla nuova realtà economico-sociale a dare precisi indirizzi e indicazioni programmatiche per garantire l’attuazione del diritto alla formazione professionale, a sua volta intesa come propedeutica, e non solo come propedeutica, al lavoro che, in modo solenne, è stato sancito come valore fondante della Repubblica nell’art. 1, quando si afferma che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Tra l’altro, e questo va sottolineato, il legislatore costituente è chiamato ad operare così, perché deve tenere conto della realtà italiana dell’immediato dopo guerra, realtà nella quale si devono affrontare le problematiche collegate all’emigrazione, alla tutela della libera circolazione, compresa quella all’estero, l’esigenza di unire, in termini efficaci, il lavoro con i percorsi professionalizzanti.

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L’art. 35 della Costituzione e il suo significato sociale

Mi permetto di fare qualche considerazione sul lavoro come valore fondante della Repubblica. In questo paragrafo è opportuno incominciare a delineare il contenuto del precitato articolo, perché rappresenta la novità di cui si è appena parlato.

I Costituenti, infatti, dopo aver illustrato le caratteristiche dell’istruzione, avvertono l’esigenza di scrivere una norma sulla formazione professionale, perché da più parti viene sottolineata l’esigenza di tenere conto delle novità della società post bellica, in conseguenza delle quali non solo deve essere garantita una formazione professionale iniziale a chi entra nel mondo del lavoro, ma deve essere anche garantito un costante e continuo aggiornamento a coloro che già sono inseriti in questo mondo. Un esame attento dell’art. 35, dopo aver ribadito che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, evidenzia questi punti fondamentali:

  • La Repubblica cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Appare subito evidente che con questa formulazione l’Assemblea Costituente vuole riconoscere un diritto, quello del lavoratore, ad avere una preparazione che gli permetta di essere protagonista del settore nel quale è inserito. Il lavoratore quindi deve essere messo in grado di svolgere una serie di azioni con la dovuta comprensione di quanto compie. Non solo. La Repubblica si deve fare carico anche di tutte quelle iniziative di formazione che contribuiscono al suo aggiornamento e miglioramento professionale. Come si vede i Padri della Repubblica hanno anche ben chiaro i concetti di formazione continua e ricorrente.
  • La Repubblica deve anche promuovere e favorire gli accordi e le organizzazioni internazionali, intesi ad affermare e a regolare i diritti del lavoro, in una società dove è prevista la libertà dei lavoratori, perché la libera circolazione rappresenta un diritto della persona e, di conseguenza, deve essere garantito e tutelato.
  • In conseguenza di quanto appena affermato nel punto precedente, è riconosciuto il diritto all’emigrazione.

Il lavoro come valore e le conseguenze di questa scelta

A questo punto diventa importante fare qualche sottolineatura sul percorso fatto dai Costituenti per arrivare ad inserire la parola lavoro nel primo articolo della Costituzione, anche perché ciò permette di cogliere fino in fondo la portata dell’art. 35 della Costituzione, l’articolo cioè che valorizza e dà un’importanza tutta nuova alla formazione professionale.

Dagli atti parlamentari si evince che quest’articolo rappresenta il risultato di una mediazione tra due posizioni. Da un lato i democristiani, per mezzo di Dossetti, La Pira e Moro, che vogliono inserire nel primo articolo una serie di principi riferibili alla visione cristiana della persona, dall’altra i comunisti e i socialisti, Togliatti e Basso in particolare, che scelgono di muoversi su un terreno più laico senza troppi richiami ai valori troppo legati all’individuo, quindi alla persona. Il risultato è di mediazione e si ritiene di scegliere come valore fondante della Repubblica democratica il lavoro.

Può sembrare una soluzione di basso profilo invece, sotto questa soluzione, stanno sottintesi molti elementi importanti. Innanzitutto con la parola “lavoro” si chiude definitivamente un’epoca storica. Prima della Costituzione italiana, erano altri i termini che indicavano su quale pilastro si fondava la società regolata da una Costituzione: a volte era il termine “borghesia” e di conseguenza veniva indicato un gruppo preciso, quello dei borghesi, come classe dominante e pertanto beneficiaria dei diritti previsti nella carta costituzionale, altre volte “proletariato” era la parola più significativa, con l’obiettivo di favorire le categorie meno ricche. Sia nel primo che nel secondo caso il testo costituzionale era il risultato di una scelta di campo, che tendeva a privilegiare una classe a discapito delle altre.

La parola, e quindi il valore, “lavoro” introdotto nell’art.1 della Costituzione serve a coinvolgere tutti i cittadini e farli sentire tutti componenti con uguali prerogative di una comunità. Non sfugge infatti a nessuno la duplice caratteristica del lavoro: è importante per sviluppare la personalità del singolo, che grazie al lavoro avverte di realizzarsi, ma nello stesso tempo il lavoro favorisce lo sviluppo della società e quindi ha una dimensione che torna a beneficio della collettività.

Se vengono dati alla parola “lavoro” questi contenuti si può ben dimostrare che la scelta costituzionale di cui abbiamo parlato rappresenta il momento di una felice mediazione nell’Assemblea Costituente tra la posizione democristiana, che riteneva fondamentale inserire nella definizione di Repubblica tutta una serie di principi cristiani da collegare alla persona e quella comunista e socialista più vicina ad una definizione laica, senza troppi riferimenti alle qualità della persona.

Se si vuole, si può dire che c’è anche di più. La Carta Costituzionale sottolinea che al cittadino deve essere riconosciuto il diritto al lavoro, e alla Repubblica tocca il dovere di garantire tutte le iniziative che possono favorire l’esercizio di questo diritto. Sia chiaro, comunque, a questo proposito che l’art. 1 della Costituzione è una norma programmatica e di conseguenza tocca al legislatore ordinario agire con successive norme per rendere concreto questo principio.

Dalle rapide considerazioni appena richiamate si ricava l’importanza del collegamento tra lavoro e formazione professionale e di conseguenza tra lavoro ed istruzione. Quindi ben si può affermare che gli articoli 34 e 35 della Costituzione trovano il presupposto proprio nell’art. 1, che serve a dare loro il giusto valore.

Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative

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Franco Peretti

Professore ed esperto di diritto europeo

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