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Scuola, la ripresa con dubbi e riflessioni

Sono passati sette giorni dalla riapertura, dopo la pausa natalizia, delle scuole. Una settimana è stata sufficiente per incominciare ad avere un quadro della situazione e soprattutto è un lasso di tempo sufficiente per qualche riflessione. E magari per incominciare ad introdurre qualche elemento in più, per trovare vie nuove che permettano di guardare ad un futuro leggermente modificato, comunque ben collegato a quella che è una realtà che non possiamo più considerare diversa da quella che è come, forse spinti da una speranza dura a morire, abbiamo fatto e sotto alcuni aspetti, continuiamo a fare.

La scuola nella visione del Governo

Mi sembra opportuno riprendere le affermazioni fatte dal presidente del Consiglio Mario Draghi e dal Ministro dell’Istruzione Pacifico Bianchi, perché rappresentano la pietra angolare di biblica memoria. Del resto il riferimento alla Bibbia che faccio rappresenta qualcosa che rende sacro e religioso quanto sto per riportare.

Entrambi hanno affermato che la scuola, e quindi l’istruzione, sono garanzia assoluta di democrazia e la scuola, proprio per questa fondamentale visione dell’autorità di governo, merita una priorità assoluta. Si tratta di un’affermazione sintetica ma carica di conseguenze, che meritano di essere evidenziate perché, se così è, su questo punto l’azione del governo sarà da valutare.

Tra l’altro, proprio a questo proposito, si deve vedere che cosa è stato concretamente fatto e con quale impegno sia stato concretamente fatto. A volte si ha l’impressione, e in qualche caso si ha addirittura la certezza, che nell’operare il Governo non sia andato oltre l’enunciazione dei progetti. Sarebbe comunque ingiusto abbracciare le tesi di coloro che sostengono che il governo non abbia fatto niente.

La scuola e la pandemia

Certamente la pandemia non sta aiutando il governo nella sua attività per garantire un anno scolastico regolare ed incisivo da un punto di vista educativo. Il costante aumento giornaliero dei contagi, con un ovvio coinvolgimento di chi si trova nelle scuole, crea – ed è sotto gli occhi di tutti – una serie di disagi che si traducono in inconvenienti idonei a frenare l’attività didattica.

Non solo. Anche se sono credibili, e quindi fanno ben sperare, i risultati della scienza medica – che sta combattendo con risultati apprezzabili, le varie forme di virus – non è accettabile la teoria, sostenuta pure in sedi autorevoli, secondo la quale siamo arrivati ad un passo dalla soluzione finale e, di conseguenza, siamo quasi fuori dalla pandemia. È da persone poco prudenti accogliere questa tesi e quindi pensare che la “nottata sia passata”. Sostenere questa tesi significa non aver colto la lezione che ci viene da questi due anni e significa correre il rischio di farci trovare poco preparati di fronte ad eventuali, probabili variazioni di Coronavirus.

Per chiudere questa considerazione, possiamo rallegrarci per i risultati raggiunti ma, nello stesso tempo, dobbiamo attrezzarci per fronteggiare future e pur sempre probabili manifestazioni della pandemia e ragionare per dare all’attività scolastica gli opportuni supporti per proseguire nel migliore di modi.

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Qualche riflessione sulle scelte didattiche della scuola

Mi sembra che il punto di partenza per una seria riflessione sul periodo vissuto debba essere di carattere generale. Si è infatti discusso in questi due anni sul tipo di didattica da usare. I metodi in discussione erano due: didattica in presenza e didattica a distanza. Ne è nato un notevole e corposo dibattito che ha permesso di evidenziare i pregi e i difetti dell’una e dell’altra modalità.

Alla fine si è scelta, anche da un punto di vista politico e quindi ministeriale, la didattica in presenza per tutta una serie di considerazione, ma soprattutto perché la didattica in presenza tiene conto delle due dimensioni dell’educazione, quella verticale, che riguarda il docente, il quale trasmette il sapere, e quella orizzontale, che invece tiene in considerazione il fatto che il momento educativo non è qualcosa di individuale, quindi isolato, ma si attua con gli altri perché è un momento “socializzante”. Per la verità i due metodi hanno entrambi elementi positivi, anche se da un punti di vista della quantità, sono presenti in modo più consistente nella didattica in presenza.

Non va però sottovalutato un problema, quello del persistere della pandemia. In questa situazione – ed è proprio questa la realtà nella quale oggi ci troviamo – quale percorso didattico si deve seguire? Agli allievi colpiti dalla pandemia non resta allora che la didattica a distanza. Se così è allora emerge un dato che mette in evidenza una lacuna del sistema scolastico che ha esaminato due strumenti, considerandoli alternativi, mentre alla luce dei fatti alternativi non lo sono necessariamente.

Non solo. Con molte probabilità non sono stati neppure necessari interventi per eliminare almeno gli elementi negativi più macroscopici riscontrati nella didattica a distanza. Nella prima fase del Coronavirus sono infatti state rilevate molte difficoltà nell’attuazione della didattica a distanza, ma nulla o ben poco è stato fatto per superarle. Si è scelta la via più facile, quella di escludere la DAD, considerandola strumento non efficace nell’insegnamento.

Per mio conto quest’impostazione dimostra una mancanza di sano realismo, perché non si è presa in considerazione un’ipotesi possibile – quella della persistenza della pandemia – e, di conseguenza, non si è attuata né si cerca di attuare la mancanza di una seria programmazione opportunamente incentrata su interventi idonei ad affrontare i disagi lamentati nel primo anno.

Sia ben chiaro comunque un principio: l’impostazione appena richiamata non va a intaccare minimamente il valore della didattica in presenza, perché essa rappresenta lo strumento migliore per educare. Quando però quest’ultima diventa impossibile per gravi motivi, è necessario avere la possibilità di alternative utili ad affrontare l’emergenza e questi strumenti emergenziali devono essere il più possibile incisivi. Una seria programmazione non deve pertanto scartare le possibili vie alternative, anzi deve tenerle a disposizione, pronte quindi ad essere percorse.

(Photo by Mira Kireeva – Unsplash)

Altri elementi di disagio sui quali riflettere

Come dicevo all’inizio, sono molto impegnative e, in ogni caso condivisibili le enunciazioni sulla scuola fatte dal Presidente del Consiglio e dal Ministro dell’Istruzione, i quali considerano la scuola come pilastro della democrazia. Se così è – e giustamente deve essere – allora sono necessari anche interventi urgenti in materia di manutenzione degli edifici scolastici per renderli adatti anche ad affrontare la pandemia del Coronavirus.

Cito un intervento per far capire l’urgenza del problema: viene ribadita dagli organi competenti in materia di sanità l’indispensabile presenza nelle aule di strumenti efficaci all’aereazione. Non si notano a tal proposito consistenti e massicce azioni concrete per realizzare simili interventi. Esempi di altre operazioni simili, facilmente immaginabili, possono essere moltissimi.

La conclusione che si trae è questa: nonostante tutta la buona volontà e l’altisonanza delle affermazioni di principio, ancora si naviga a vista, mancano gli interventi per raggiungere obiettivi a lungo termine. Non si deve dimenticare infatti che per qualche anno ancora con il virus dovremo convivere.

Prima di chiudere questa mia riflessione – che non vuole comunque essere critica, ma solo invito a voler allargare l’orizzonte operativo, che ad oggi per i motivi sopra esposti appare limitato e quindi non efficace per rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo – desidero fare un riferimento anche al personale della scuola, da ogni parte definito “sotto organico”.

Se così è, non è allora indispensabile procedere alle assunzioni del caso? Superando magari le difficoltà burocratiche, come fece il ministro del Lavoro, Tina Anselmi, nel lontano 1977, con un’apposita legge sull’occupazione giovanile? Incomincio però a temere che considerazioni come queste possano essere considerate come “l’ultimo avviso ai naviganti”, con i rischi conseguenti. Chi deve provvedere provveda, prima che sia troppo tardi.

Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative

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Franco Peretti

Professore ed esperto di diritto europeo

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