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Scuola: ancora qualche riflessione sull’educazione civica

Un recente articolo pubblicato su questo giornale dall’avvocato Stefano Fioramonti, preparato ed attento cultore del diritto ambientale, con una serie di interessanti considerazioni sul rapporto tra educazione ambientale ed educazione civica, mi ha spinto a riflettere ancora una volta su quest’argomento, cercando di approfondire la situazione didattica dell’educazione civica.

Mi sono nate diverse considerazioni sulle quali potrebbe nascere un ulteriore dibattito. L’argomento è infatti non solo molto importante, ma riguarda anche un segmento fondamentale della scuola, come del resto aveva ben intuito Aldo Moro, quando nel 1958, come ministro dell’Istruzione, introdusse quest’argomento come materia curriculare per le scuole di ogni origine e grado.

Educazione civica: il significato di un’espressione

Già l’espressione “Educazione civica” merita un richiamo e una riflessione. Incominciamo quindi da due termini.

Educazione deriva dal verbo educare, termine che in latino – educere– sta anche ad indicare l’azione del far crescere, dello sviluppare. Il termine è sostanzialmente chiaro e richiama un’attività che esige nel suo esercizio molta cura ed attenzione. Le problematiche nascono quando si esamina l’aggettivo “civico” che, sempre partendo dal latino, ha come radice la stessa di “civis”, che vuol dire “cittadino”.

Facendo una riflessione sulla parola cittadino, scopriamo che il termine assume, sia da un punto di vista storico che dal punto di vista politico, tonalità e contenuti diversi. Guardando ad esempio al mondo romano si scopre che il civis – cittadino – della Roma arcaica ha una serie di connotati che lo legano al mondo dell’agricoltura; esaminando poi la descrizione del civis dell’età repubblicana, quella per intenderci che precede l’impero, si nota una sostanziale diversità, il nuovo civis dedica molta attenzione ai rapporti sociali e alla cultura.

Si potrebbe continuare nell’esame passando in rassegna le varie definizioni date anche nelle varie epoche dalle dottrine politiche. Mi sembra però utile fare un ultimo richiamo alla cultura politica contemporanea, che sostanzialmente ha due visioni del cittadino: il cittadino titolare di diritti inalienabili, perché appartengono alla sua natura, e il cittadino suddito, che riceve una serie di prerogative per gentile concessione delle Stato, che viene prima del cittadino. Ovviamente nel mondo occidentale, al quale per tradizione e storia apparteniamo, il cittadino viene prima dello stato e deve considerare quest’ultimo come istituzione che contribuisce a far vivere il cittadino stesso, mettendolo nella condizione di espletare la sua personalità, facendo vivere nel rispetto delle sue inclinazioni naturali.

Fatte queste indispensabili sottolineature si può dire che l’educazione civica è un’attività didattica che serve a mettere la persona in condizioni di svilupparsi in modo armonico con i suoi diritti ed i suoi doveri, tenendo presente che in capo al cittadino sia i diritti che i doveri hanno la stessa importanza.

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Un rischio collegato all’educazione civica


Tra i vari soggetti – e non l’unico quindi- chiamati a contribuire nell’educazione civica c’è anche la scuola. Ho appena detto che non è l’unico soggetto, perché a partecipare e a contribuire all’educazione civica non sono solo le istituzioni scolastiche. A questa formazione infatti concorrono, accanto alla scuola, anzi devono collaborare con essa con un ruolo paritario, la famiglia, gli organismi sociali, le strutture culturali, le istituzioni religiose e gli enti che si occupano di tempo libero. Certamente alla scuola è riservato un ruolo significativo, che deriva anche dalle competenze professionali che per le sue caratteristiche ha o dovrebbe avere.

Questa presenza di più soggetti chiamati a intervenire nella realizzazione di moduli di educazione civica, a mio avviso, serve non solo per offrire nuove ipotesi complementari di lavoro educativo, ma serve anche a togliere allo stato un monopolio educativo che, sotto certi punti di vista, potrebbe essere pericoloso. Un’attività di educazione civica affidata solo allo stato, che la attua con le sue strutture scolastiche, finirebbe per creare un cittadino non formato secondo le sue inclinazioni, ma genererebbe un suddito che fa proprie le scelte imposte dallo stato. Non a caso i regimi totalitari mettono sotto il diretto controllo del governo l’educazione civica. Diventa, alla luce di queste considerazioni, importante costruire un percorso di educazione civica che sappia tener conto della libertà e delle inclinazioni dei singoli.

L’esperienza italiana ed il suo (quasi) fallimento

L’educazione civica, come ben ha richiamato Fioramonti nel suo articolo, viene introdotta nel percorso scolastico con un provvedimento voluto nel 1958 dall’allora ministro Aldo Moro. Il ministro, uomo dotato di profonda cultura civile e guidato da solide convinzioni cattoliche, avverte la necessità di contribuire, durante il percorso scolastico, alla formazione del cittadino, facendo riflettere gli studenti con lezioni di educazione civica. Se l’idea progettuale è sicuramente da condividere, bisogna anche evidenziare che il risultato di questa decisione di Moro non è da considerare riuscita per almeno due ordini di problemi.

Il primo: secondo le direttive ministeriali l’educazione civica non è materia scolastica autonoma, ma è il segmento modulare di un’altra materia, la storia, e infatti, per la valutazione, nelle pagelle scolastiche compare la dicitura “Storia ed Educazione civica”. La conseguenza di questa impostazione è lapalissiana. L’insegnamento dell’educazione civica è ridotto al minimo e alla fine quello che conta per la valutazione dello studente è la sua preparazione in storia. Tra l’altro si genera anche negli allievi la convinzione che l’educazione civica è una “non materia”, che compare nel piano didattico non si sa bene per quale motivo.

Concretamente nei primi decenni di applicazione del provvedimento Moro le cose procedono in questo modo: pochi minuti vengono dedicati a questa materia e i pochi minuti, quando tutto andava bene, erano dedicati alla pedissequa lettura della Costituzione. Tutto questo generava la possibilità di scrivere nel registro di classe e in quello del docente – sezione storia – che era stata rispettata la direttiva ministeriale.

Ma se questo è il primo problema, ce n’è da registrare un secondo molto più grave. L’educazione civica, nel momento in cui viene inserita come modulo didattico, è considerata materia di competenza del docente di lettere in alcuni istituti, in altri istituti, nei licei nello specifico, viene considerata materia di competenza dei docenti di storia e filosofia. Se si escludono questi ultimi, gli altri docenti non hanno spesso avuto la possibilità di approfondire gli argomenti da trattare.

Facendo un riferimento rapido e superficiale al periodo in cui viene inserita, i docenti sono appena usciti dalle università, le quali non hanno nei loro piani di studio percorsi per formarli su questi temi. Quindi chi viene chiamato a tenere questo tipo di lezione cerca soluzioni che formalmente permettano il rispetto e l’applicazione della disposizione ministeriale, senza ovviamente pensare al raggiungimento degli obiettivi che il ministro si proponeva. Nella sostanza si può dire che la prima a non credere al valore dell’insegnamento dell’educazione civica era proprio l’istituzione scolastica nel suo complesso, ovviamente in questo caso Ministro escluso.

Il periodo trascorso, dal 1958 ad oggi, con alterne vicende, che hanno visto soppressioni e ripristini della materia, non è servito a migliorare di molto la situazione.

(Pexels)

Ripensare l’educazione civica

Alla luce anche di ricerche e lavori contemporanei, credo che si debba ripensare l’insegnamento dell’educazione civica, tenendo presente alcuni punti fondamentali.

Innanzitutto deve diventare un modulo interdisciplinare. Se infatti educare il cittadino significa fare crescere una persona, affinché sia in grado di svolgere come protagonista la sua attività all’interno della comunità, tutti i docenti devono impostare il loro lavoro per contribuire alla preparazione degli studenti alla vita sociale.

Del resto, oggi si parla spesso – ed è questo il motivo che mi ha spinto a questa riflessione leggendo l’interessante articolo di Fioramonti– di ambiente e di educazione ambientale come segmento del più vasto settore dell’educazione civica, allora non solo il docente di storia o di lettere deve sobbarcarsi l’onere di trattare questi temi, ma anche altri docenti devono compiere un’azione sinergica per contribuire all’insegnamento della materia.

Certo tutto questo presuppone un’articolata preparazione e di conseguenza il Ministero deve favorire questi aggiornamenti e, a ben guardare, anche altre istituzioni, penso nello specifico alle fondazioni bancarie, devono intervenire per finanziare la formazione dei docenti, magari introducendo anche un segmento di approfondimento sulla cultura finanziaria, che rappresenterebbe un settore nuovo ma molto importante per permettere al cittadino di evitare grossi raggiri anche nel mercato della finanza. Si aprirebbe a questo puto un riflessione sul metodo e sul raffronto tra metodi e contenuti. Di questo parleremo in una prossima riflessione.

Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative

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Franco Peretti

Professore ed esperto di diritto europeo

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