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Abolita la “dichiarazione di verginità” per il matrimonio

BANGLADESH. È una sentenza che segna una vera e propria svolta nel campo dei diritti civili quella con cui l’alta corte di Dacca ha proibito l’utilizzo del termine “kumari” dai documenti prematrimoniali. In bengalese può significare “donna non sposata”, ma anche “vergine”. Un’accezione che, secondo gli avvocati di alcune associazioni per i diritti delle donne che nel 2014 hanno fatto ricorso ai giudici, sarebbe “umiliante” e “lesiva della privacy”.

Nel Paese a maggioranza musulmana, infatti, i matrimoni forzati per le ragazze, anche giovanissime, sono ancora molto diffusi. Una sentenza storica della Corte suprema del Bangladesh ha stabilito che le donne nel Paese non sono più tenute a dichiarare se siano vergini nei moduli di registrazione del matrimonio. Secondo quanto riferito dalla Bbc, l’alta corte ha ordinato che la parola “vergine” nei moduli sarà sostituita con la dicitura “non sposata”. Le altre due opzioni nel modulo – “vedova” e “divorziata” – rimarranno invariate. Nello specifico, la corte ha affermato che la parola di lingua bengali “kumari” dovrà essere rimossa dai documenti di registrazione del matrimonio. La parola è usata per descrivere le donne non sposate, ma può anche significare “vergine”. Gli avvocati dei gruppi per i diritti delle donne, che hanno presentato il caso nel 2014, hanno sostenuto con successo che i moduli per il matrimonio fossero umilianti e che violassero la privacy delle donne. Domenica, il tribunale ha detto che d’ora in poi dovrà essere usata la parola bengali “obibahita”, che significa inequivocabilmente “una donna non sposata”.

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