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Fukushima, assolti i tre dirigenti gestori della Tepco

TOKYO. La Corte distrettuale di Tokyo ha giudicato non colpevoli tre dirigenti del gestore dell’impianto di Fukushima, la Tokyo Electric Power (Tepco), accusati di negligenza per non avere adottato misure adeguate per prevenire il disastro nucleare avvenuto nel marzo 2011 nel nordest del Giappone in seguito alla scossa di magnitudo 9 e al successivo tsunami.
    Il presidente 79enne Tsunehisa Katsumata e i due vicepresidenti Ichiro Takekuro, 73 anni, e Sakae Muto, 69 anni, avevano affermato in loro difesa che non potevano essere in grado di anticipare la gravità dello tsunami che ha provocato l’allagamento delle turbine, causando il meltdown dei reattori. 

 I tre massimi dirigenti della Temco erano accusati della morte di 44 persone, inclusi diversi pazienti costretti ad evacuare da un ospedale locale, e delle ferite riportate da altre 13 persone durante l’esplosione di idrogeno alla centrale nucleare di Fukushima Daichi. Ad anni di distanza, quello che possiamo fare è raccontare e ricordare quell’11 marzo 2011. Alle 14:46 ore locali, al largo delle coste nord-orientali del Giappone, nella regione di Tohoku, la terra, a 30 chilometri di profondità, trema: una scossa di magnitudo 9, che fa innalzare le acque sovrastanti fino a generare uno tsunami con onde maggiori di 10 metri (fino a 40 raccontano le cronache, come registrato nella città di Miyako, nella prefettura di Iwate, tra le più colpite dal maremoto). Le onde dello tsunami viaggiano fino ad abbattersi sulla costa, almeno 15.700 i morti, oltre 4.600 i dispersi, 130mila gli sfollati, 332mila gli edifici distrutti. E ancora: migliaia di strade e decine di ponti e ferrovie distrutte dalla forza dell’acqua. Ma a peggiorare il bilancio dell’11 marzo 2011 è senza dubbio l’incidente avvenuto alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, il peggiore che la storia ricordi insieme Chernobyl, col quale condivide il triste primato di incidente di livello 7 (il più alto). Le onde causate dal terremoto al largo del Giappone arrivando a terra investirono la centrale gestita dalla Tepco, superando le barriere protettive alte oltre cinque metri. Durante il terremoto i reattori (ad acqua bollente:ovvero che usano acqua leggera come moderatore e come liquido termovettore) hanno smesso di funzionare. Come meccanismo di sicurezza, infatti, al momento della rivelazione delle scosse, il sistema di controllo ha posizionato barre di controllo nel nocciolo per bloccare la reazione di fissione nucleare, ma rimaneva il problema di smaltire le enormi quantità di calore residuo prodotto dalla fissione. Questo smaltimento avveniva grazie a un sistema di raffredamento ad acqua che a Fukushima però, in seguito al maremoto, smette di funzionare (salta l’alimentazione elettrica). Il malfunzionamento del sistema di raffreddamento ha quindi provocato il surriscaldamento dell’acqua e del combustibile (contenuto all’interno di barre di zirconio), con la conseguente produzione di grandi quantità di vapore ed idrogeno e aumento della pressione, che ha costretto i tecnici a far fuoriuscire una parte del vapore, disperdendo l’idrogeno che ha così causato alcune esplosioni. Una cascata di eventi che determinerà da ultimo la fusione dei noccioli 1, 2 e 3 della centrale ed il rilascio di iodio, cesio e cobalto radioattivi.

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