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Giornata della memoria: per non dimenticare le vittime della Shoah

Oggi 27 gennaio é il Giorno della Memoria, per ricordare le vittime dell’Olocausto abbiamo deciso di interfacciarci con il Professor Giuliano Cazzola, che ringraziamo di cuore per averci dedicato del tempo e per averci raccontato una testimonianza personale in un giorno tanto importante. Vi lasciamo al suo editoriale inedito

Giorno della memoria: il ricordo del Prof Giuliano Cazzola

Oggi i media  dedicano i loro programmi alla Shoah e continueranno a farlo anche nei giorni prossimi. È certamente una scelta giusta, opportuna e condivisibile, perché la memoria deve essere coltivata e custodita anche quando riguarda l’abominio dell’Olocausto di cui  l’Europa si rese responsabile. Purtroppo, non si tratta di una pagina chiusa per sempre. L’antisemitismo è una piaga mai suturata nella storia secolare del Vecchio Continente, sulla quale ha potuto imporsi la “banalità del Male” del nazismo, le cui radici erano piantate in vicende tragiche e spietate di autodafé, di pogrom, di ghettizzazione, di conversioni forzate, di negazione dei più elementari diritti, di torture e massacri. Anche questo passato dovrebbe essere ricordato in questa giornata. E soprattutto questa reminiscenza non può essere un alibi. Sono in tanti coloro che si scaricano la coscienza commemorando gli ebrei morti, per criticare quelli vivi assediati, da nemici troppe volte giustificati, in quella terra promessa che è lo Stato d’Israele.

Poi non è un mistero che l’antisemitismo sia tuttora vivo e vitale in Europa. E non riguarda soltanto i settori dell’Islamismo radicale (anche senza spingersi tanto in là non dimentichiamo quell’integralismo  di Stato che impone la legge islamica – la cosiddetta “sharia” –  anche nella vita civile o prevede la morte nei casi di apostasia e blasfemia); ma cova anche nelle cellule cancerogene dei gruppuscoli neo-nazifascisti, i cui militanti – come se rispondessero ad un riflesso pavloviano – fanno dell’antisemitismo uno dei loro ‘’credi’’ centrali.

Hannah Arendt ha spiegato i motivi di questo odio ancestrale che non ha solo aspetti religiosi (gli ebrei sono stati qualificati per  secoli dalla Chiesa Cattolica, come “deicidi”, gli uccisori di Dio. Toccò a Giovanni Paolo II, quando si recò a visitare la Sinagoga di Roma, dichiarare che non solo non hanno nessuna colpa le generazioni che si sono succedute nel tempo, ma neppure l’intero popolo ebraico di allora, perché la responsabilità del morte Gesù ricade soltanto su coloro che la vollero, agendo con settarismo ed ingiustizia); come ha scritto la politologa tedesca l’astio verso gli ebrei nasceva dal loro essere una comunità sovranazionale che poi non era altro se non una reazione difensiva rispetto alla diaspora.

Di qui le critiche riguardanti la loro estraneità alle comunità nazionali e la loro identificazione con i c.d. poteri forti che a dire del nazionalismi condizionano la vita dei popoli. Chi scrive, cattolico praticante, porta al collo una catenina a cui sono appesi sia il crocefisso che la stella di Davide: è un modo per riconoscere la radici giudaico-cristiane dell’Europa. Ma anche un’espressione visibile di solidarietà nei confronti di un popolo perseguitato che, ancora oggi, deve guardarsi dall’ostentare i suoi simboli.

Giornata della Memoria, la testimonianza: un segno indelebile

Da ragazzo mi capitò di compiere un’esperienza che mi ha lasciato un segno indelebile. Credo che fosse il 1964 o l’anno dopo. L’Associazione dei deportati invitò dei rappresentanti dei movimenti giovanili dei partiti ad un pellegrinaggio nei campi di sterminio (in cui venivano rinchiusi non solo gli ebrei, ma gli zingari, i politici e gli omosessuali). Io partecipai per la Federazione giovanile socialista. Sul pullman c’erano ex deportati (anche per motivi politici e non solo razziali) e famigliari di quelli che non avevano fatto ritorno.

Le visite si limitarono ai campi che si trovavano in Austria (allora le frontiere erano chiuse). Facemmo una sola visita in Germania Ovest al campo di Gusen (sostituito da un Monumento), perché i siti principali tra cui Buchenwald si trovavano nella DDR. Fu un’esperienza molto commovente perché in ogni campo alcuni dei partecipanti avevano avuto un congiunto o vi erano stati rinchiusi. La visita più importante avvenne nel campo di Mauthausen che era praticamente rimasto intatto e che faceva da scenario per la vita quotidiana in quei campi di detenzione. Quando ci recammo in quel sito era in corso una rievocazione a cui partecipavano rappresentanze straniere. Mi fece piacere trovare un sottosegretario socialista, inviato dal governo italiano, che era stato detenuto in quel campo.

Giornata della memoria
27 gennaio: Giornata della memoria

Un altro episodio che mi colpì avvenne durante il ritorno in Italia. A un certo punto – credo fossimo in Veneto – il pullman si fermò vicino ad un sacerdote che stava sul ciglio della strada. Uno dei partecipanti al pellegrinaggio, comunista, scese e lo abbracciò, perché era suo figlio. Ma la mia esperienza con queste tragedie della storia non era conclusa. Una decina di anni dopo, andai a visitare, in un altro ruolo più ufficiale, il campo di Buchenwald (con l’insegna crudelmente beffarda: “il lavoro rende liberi”). La costruzione era stata in parte demolita; al posto della baracche (ancora in piedi a Mauthausen) vi erano degli enormi rettangoli di carbone, mentre restavano intatti i locali delle “docce” di gas e dei forni crematori. Ma lo cosa che più mi impressionò in quella visita non fu il campo in sé, giacché ne avevo visti tanti (sic) in Austria, ma la sua collocazione. Buchenwald si trova a pochi chilometri da Weimar, la città simbolo della cultura tedesca (ed europea), la città di Goethe e dei grandi filosofi idealisti. La città che fu capitale della Repubblica di Weimar.   

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Erica Venditti

Erica Venditti, classe 1981, dal 2015 giornalista pubblicista. Dall'aprile 2012 ho conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.

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