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Gli “anni dell’incertezza” in una grande mostra a Genova

GENOVA. Alla complessità esistenziale, sociale, culturale e politica del secondo decennio del Novecento l’arte riuscì a rispondere seguendo varie strade. Su questi presupposti è stata concepita la grande mostra Gli anni Venti in Italia. L’età dell’incertezza, in programma a Palazzo Ducale di Genova dal 5 ottobre al primo marzo 2020. Di fatto, la mostra documenterà le intuizioni e le risposte di artisti che, trovandosi immersi in una realtà piena di contraddizioni, di turbamenti ma anche di speranze, riuscirono a farvi fronte trasferendo ed elaborando ogni istanza nel linguaggio pittorico e plastico: dall’inquietudine personale e collettiva al rifugio nel sogno, dal senso di attesa per quello che sarebbe potuto essere il futuro all’irrazionalità, dalla paura di nuove guerre all’entusiasmo della modernità

La rassegna, curata da Matteo Fochessati e Gianni Franzone, proporrà una centinaio di opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, distribuite in un percorso che si snoda attraverso le sale dell’Appartamento del Doge e che si sofferma in particolare sulla produzione pittorica e plastica di quegli anni. Tanti gli artisti presenti, capaci con il loro spirito e la loro incessante ricerca in varie declinazioni linguistiche di dare voce a un’epoca emblematica, che costituì una cruciale fase di passaggio tra il trauma della Grande Guerra e la crisi mondiale del decennio successivo: Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Fortunato Depero, Felice Carena, Felice Casorati, Ubaldo Oppi, Fausto Pirandello, Alberto Savinio, Gino Severini, Mario Sironi. E, ancora, Carlo Levi, Scipione, Achille Funi, Enrico Prampolini, Mario Tozzi.

Ad attendere i visitatori sarà un lungo itinerario espositivo che prevede nove sezioni: “prologo” e “preludio”, rispettivamente una galleria di ritratti che documentano la società dell’epoca e il ricordo drammatico dell’esperienza bellica appena trascorsa; “attese”, che illustra l’incanto, lo stupore e il senso di sospensione; “l’uomo della folla”, con il disagio che dà voce a una visione distopica del reale; “suggestioni dell’irrazionale”, con spiragli aperti su sogni, incubi, angosce e ossessioni; “reificazione dell’individuo”, la creazione dell’immagine di un uomo nuovo, improntato alla cultura del macchinismo; “evasioni”, ossia la fuga dalla realtà quotidiana verso mondi fluttuanti nel tempo; “identità e differenze”, con la sensazione della perdita della consapevolezza identitaria; infine “Déco in scena”, la dimensione effimera che rappresentò l’altra faccia dell'”età dell’incertezza”.

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Piero Abrate

Giornalista professionista dal 1990, in passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. È stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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