• STORIA

La concezione della divinità nel neoplatonismo

Articolo a cura del Professore Giovanni Pellegrino

Al tempo di Plotino sia giovani colti che incolti dell’Impero romano erano convinti che il mondo umano subisse forti influenze da parte di divinità, demoni, forze nascoste, influenze magiche e astrali. Plotino credeva nell’esistenza della magia anche se non la praticava e pensava che gli esseri umani e gli stessi demoni fossero inseriti in una complessa catena di influssi, ripercussioni e dipendenze dovute alla simpatia che lega le cose tra loro. Secondo il filosofo greco l’unico modo per sfuggire a ripercussioni era la pratica della filosofia che consentiva di raggiungere la liberazione dagli influssi cosmici, mentre tutte le altre attività non filosofiche non erano in grado di farlo.

Per dirla in maniera molto sintetica la continuità e l’interdipendenza che esisteva nell’universo a partire dall’Uno (il principio divino dal quale tutto derivava) garantiva che l’attività filosofica percorresse tutto ciò che derivava dall’Uno stesso, anche se man mano che si allontanava tale attività si indeboliva progressivamente. Il filosofo che praticava l’attività teoretica si sottraeva sempre più ai legami e alle dipendenze cosmiche.

Molto significativa nella filosofia di Plotino è l’antropologia, che evidenzia come il corpo rappresenti un’aggiunta che non definisce l’io vero: per cui anche senza un corpo l’uomo continuava ad essere uomo. Secondo la sua teoria il filosofo pur essendo nel mondo era già separato dal mondo stesso proteso verso l’Uno con l’intento di rendersi simile a Dio. Vivere secondo questi principi garantiva l’autosufficienza del filosofo che non aveva bisogno di nient’altro.

neoplatonismo
L’identificazione attribuibile a Plotino è plausibile ma non provata (Wikipedia)

Inoltre il filosofo era considerato una delle molteplici figure assunte dal principio divino dell’universo nella sua eterna manifestazione. Poteva cogliere il principio divino dell’universo ed eliminare la distanza che lo separava dall’Uno distaccandosi dal mondo e dal sortilegio che imprigionava gli esseri umani. L’anima purificata del filosofo era in grado di cogliere l’Uno mediante l’estasi, che non era atto irrazionale bensì sovrarazionale, nel senso che rappresentava l’apice estremo della razionalità. Attraverso l’estasi il filosofo si univa e si immedesimava con il principio divino dell’universo in maniera rigorosamente razionale. Il traguardo finale di tale estasi totalmente razionale era l’uguaglianza e l’unità con Dio.

Secondo il neoplatonismo l’intero universo era un irraggiamento dell’Uno, sia pure in gradi diversi. Plotino aveva una concezione panteistica della divinità in quanto pensava che l’Uno fosse come una sorgente luminosa in grado di irradiare con la sua luce l’intero universo, anche se man mano che ci si allontanava dal centro tale luce diventava sempre più debole. Tale concezione della divinità aveva di conseguenza una grande importanza a livello fisico, metafisico e morale poiché rappresentava la sostanziale omogeneità dell’universo con Dio .

Di conseguenza il sistema filosofico di Plotino può essere definito un sistema monistico cioè privo di una netta scissione tra Dio e il mondo. In sintesi possiamo affermare che l’unione con Dio era il traguardo finale della sua attività filosofica: egli dichiarò di aver raggiunto tale traguardo quattro volte .

La concezione della divinità secondo Giamblico

A partire da Giamblico i neoplatonici si convinsero che al disopra della filosofia esistevano pratiche e tecniche magiche in grado di condurre l’uomo alla fusione con Dio. Mentre Porfirio, discepolo di Plotino, prendeva le distanze dalle pratiche magiche e teurgiche continuando a pensare che la filosofia fosse l’unico modo per raggiungere l’unione con Dio, Giamblico pose fine alla tradizionale ostilità dei filosofi nei confronti della magia.

Secondo Giamblico ciò che metteva in contatto con la divinità non era la razionalità ma la teurgia che si basava sull’esecuzione di azioni che non potevano essere compiute con l’aiuto dell’intelletto. Il successo delle pratiche teurgiche non dipendevano dalle capacità degli uomini ma dalla volontà degli dei. Secondo il filosofo neoplatonico la realtà nasce per emanazione dalla divinità (l’Uno) mediante una scansione triadica del processo di emanazione. Tale processo si ripete innumerevoli volte e da origine ad una serie di entità alle quali Giamblico fa corrispondere gli dei del mondo pagano. Secondo la sua teoria la filosofia era un vero e proprio dono degli dei .

Stele funeraria di Proclo (Wikipedia)

Tali presupposti non cambiarono nel pensiero di Proclo: i veri agenti della teurgia erano gli dei e pertanto la teurgia era superiore a ogni conoscenza umana cosicché anche Proclo abbandonò la pura dimensione razionale recuperando come Giamblico la religione politeistica. Egli credeva nell’esistenza di un mondo pieno di dei e demoni, e in tal mondo divino e semidivino il filosofo e teurgo riaffermava la propria superiorità nei confronti degli altri uomini, poiché attraverso la teurgia poteva entrare in contatto con una catena di esseri divini o semidivini .

Marino tracciò un ritratto della vita di Proclo, vita caratterizzata in tutti i momenti significativi dall’intervento degli dei. La sua figura di filosofo neo-pagano era freddamente ancorata alla dimensione divina ed inoltre l’intervento degli dei nella vita del filosofo segnarono la nascita di un altro movimento di vita filosofico senza precedenti nel mondo pagano. In conclusione possiamo dire che con Proclo il filosofo neo-pagano assunse un rapporto privilegiato con la dimensione divina che lo rese un modello da imitare da parte degli altri uomini, quasi ad incarnare un essere eccezionale .

Professore Giovanni Pellegrini

Tags

Articoli correlati