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La tanto temuta, quanto inevitabile, scissione in casa 5 stelle pare ormai avviata

La scissione è iniziata, la guerra fratricida è un dato di fatto, la battaglia sul simbolo e il rapporto tra Beppe Grillo e Davide Casaleggio sono due fattori da cui dipende l’esistenza stessa del M5S così come finora era conosciuto. Il “no” dei 15 senatori ortodossi a Mario Draghi apre una ferita che difficilmente si rimarginerà. Una manciata di ore dopo, alla Camera, i “contras” viaggiano più o meno sulla stessa linea. I gruppi autonomi, per i dissidenti espulsi, sono a un passo. E, al Senato, gli ultimi rumors spiegano che gli ortodossi avrebbero chiesto al segretario Ignazio Messina l’uso del simbolo Idv.

Nel pomeriggio i vertici tentano una controffensiva. Vito Crimi si palesa a Montecitorio, preceduto da un post di Beppe Grillo in cui il Garante non muta la sua linea pro-Draghi: “I Grillini non sono più marziani. I Grillini non sono più marziani“, scrive Grillo tracciando una linea che unisce la sonda Perseverance, in arrivo nella notte su Marte con la “perseveranza” del sì del M5S ad un governo ambientalista. Un sì che, nella strategia di Grillo, potrebbe innescare una rifondazione della sua creatura.

In mattinata, invece, governisti ed espulsi si combattono a suon di dichiarazioni e post sui social. Alla notizia dell’espulsione – che potrebbe riguardare anche tre assenti al Senato, tra cui Emanuele Dessì – Barbara Lezzi risponde per le rime: “Mi candido a far parte del comitato direttivo del M5S (da cui non sono espulsa)“. Ma è una provocazione: lo Statuto, all’art.11, recita che chi è espulso dai gruppi parlamentari lo è anche dal Movimento, e viceversa. C’è un dato tuttavia: il procedimento di espulsione – con il ricorso che, per prassi, viene fatto da chi subisce la sanzione – ha i suoi tempi. E chissà se, nel caso il voto sulla nuova governance preceda l’espulsione ufficiale, i dissidenti non possano candidarsi.

scissione

L’altro “big” del Senato cacciato dai vertici, Nicola Morra, staziona in mattinata a lungo alla Camera. Parla con Lorenzo Fioramonti, ex ministro M5S che da mesi pensa a un gruppo autonomo con altri fuoriusciti. I numeri, a Montecitorio, ci sarebbero, così come al Senato. Anche se Morra per ora si sfila: “Non mi interessa, non voglio andare via“. Sono ore di scosse telluriche per il M5s e Luigi Di Maio aspetta che ci sia un primo assestamento. Poi potrebbe fare la sua mossa, come gli viene chiesto da diversi deputati. Ma la tensione, per ora, è troppo alta e investe anche due esponenti moderati del calibro di Alfonso Bonafede e Federico D’Incà che, a lungo, in Aula si attardano in una discussione dai toni piuttosto alti.

E poi c’è il nodo Rousseau. L’affondo di ieri contro Crimi – “Lo Statuto è cambiato, non è più capo politico” – ha acuito l’irritazione dei parlamentari. “Si tenga gli iscritti, facciamola finita. Lì c’è solo una gara per i click degli attivisti“, è la linea, tranchant, di un esponente della vecchia guardia. Luca Di Giuseppe facilitatore campano M5s vicino a Casaleggio lancia una ‘call to action’ per sostenere con la funzione “Mi fido” gli espulsi.

E in serata riemerge Alessandro Di Battista. La guida dei “descamisados” annuncia un Live per sabato che pare una discesa in campo: “Ci sono cose da dire. Scelte politiche da difendere. Domande a cui rispondere ed una sana e robusta opposizione da costruire“, sottolinea. E sullo sfondo, appare la guerra sul simbolo. Che è di Grillo e della sua Associazione del 2012, ma è stato ceduto in comodato all’Associazione M5s del 2017, in cui risultano fondatori Luigi Di Maio e Casaleggio. E il caos potrebbe frenare anche Giuseppe Conte. Dal suo futuro potrebbe dipendere anche quello del Comitato direttivo a 5 membri approvato dagli iscritti. Ma l’ex premier sembrerebbe ancora indeciso tra una sua lista, il ruolo di federatore e l’adesione al M5s.

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