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La via per uscire dalla crisi è quella indicata da Keynes: occorre attualizzarla ai tempi del digitale

La ricetta per uscire dalla crisi economica attuale c’è. È quella di Keynes. Da attualizzare al nostro tempo.

Lo Stato dovrà esercitare un’influenza direttiva circa la propensione al consumo, in parte mediante il suo sistema di imposizione fiscale, in parte fissando il tasso di interesse e in parte, forse, in altri modi. Per di più, sembra improbabile che l’influenza della politica bancaria sul tasso di interesse sarà sufficiente da sola a determinare un livello ottimo di investimento. Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell’investimento si dimostrerà l’unico mezzo per farci avvicinare alla piena occupazione”. Sono le parole dell’economista britannico John Maynard Keynes riportate nel suo libro “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” del 1936.

Keynes visse nel pieno della Grande Depressione del 1929 e si domandava come potesse essere possibile, in base alla teoria economica accettata ai suoi tempi, che l’economia si trovasse in equilibrio anche quando il mercato del lavoro non era affatto in equilibrio, data la enorme massa di disoccupati che c’era nel 1929.

Keynes

Il suggerimento di Keynes per raggiungere la piena occupazione (volume massimo di occupazione compatibile con un dato salario reale) era di intervenire su strumenti fiscali per redistribuire il reddito dalle classi più abbienti a quelle meno abbienti allo scopo di favorire la propensione al consumo; di stimolare gli investimenti privati con una politica del denaro a buon mercato; di integrare le spese private con spese pubbliche finanziate allo scoperto, cioè in eccesso rispetto alle entrate fiscali (deficit spending).

Alla fine del 2019 il tasso di disoccupazione in Italia – secondo il Rapporto Annuale 2020 Istat presentato venerdì 3 luglio 2020 a Roma presso Palazzo Montecitorio – è stato il 10%. Nel rapporto l’Istat stima che nel 2020 il tasso di disoccupazione sarà il 9,6% e nel 2021 sarà il 10,2%.

Le stime dell’Istat sembrano piuttosto ottimistiche (da precisare che il 9,6% del 2020 è relativamente basso perché ci sono molti inattivi che non cercano o hanno smesso di cercare lavoro). Se si considera che: la riduzione del salario dovuta alla cassa integrazione e il clima di incertezza sul lavoro frenano i consumi delle famiglie; molte aziende si trovano in difficoltà economiche e quindi saranno costrette a ridurre il personale o a cessare l’attività; non appena verrà rimosso l’obbligo di non licenziare la disoccupazione aumenterà; allora, anche senza ricorrere ai modelli macroeconometrici, è ragionevole ipotizzare che nel 2021 il tasso di disoccupazione potrà arrivare ben oltre la soglia del 10% quale era alla fine del 2019.

Palazzo delle Finanze, Roma, sede del ministero dell’economia e delle finanze

Le stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) riportate nel Documento di Economia e Finanza 2020 del 24 aprile 2020 sembrano confermare l’ipotesi: il tasso di disoccupazione sarà l’11,6% nel 2020 e l’11,0% nel 2021.

Considerando che un tasso di disoccupazione dell’11,0% equivale a circa 3 milioni di disoccupati, non c’è proprio da stare tranquilli. Lungi dal voler creare falsi allarmismi, si stanno sottovalutando gli impatti sull’occupazione da parte dell’automazione (casse automatiche, robot, intelligenza artificiale) e della disintermediazione (servizi digitali fai da te, come home banking, home insurance, servizi postali). Inoltre bisogna considerare l’impatto che le tecnologie digitali avranno sull’occupazione (a cominciare proprio dalla diffusione dello smart working che contribuirà alla riduzione dei salari – e quindi alla riduzione di consumi, investimenti, produzione e occupazione – e alla riduzione degli spazi per uffici con conseguente chiusura di bar e ristoranti nelle loro vicinanze), il livello di disoccupazione nel 2021 andrà ben oltre l’11% stimato dal Mef, e riguarderà in particolare la disoccupazione generazionale, la mancanza di lavoro della generazione dei nativi digitali (dei nati dopo il 1985), bloccata dalla generazione dei sessantenni.

Per uscire dalla crisi economica e sociale attuale, occorrerà seguire il suggerimento di Keynes attualizzandolo ai tempi del digitale:

  1. Intervenire con una certa ampiezza di investimenti statali, l’unico mezzo per potersi avvicinare alla piena occupazione;
  2. Stimolare nuovi consumi favorendo l’occupazione delle nuove generazioni attraverso il ricambio generazionale;
  3. Finanziare le nuove pensioni con la moneta digitale di Stato gestita dallo Stato circolante parallelamente alla moneta bancaria gestita dalle banche.

Claudio Maria Perfetto

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