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L’omicidio Tobagi maturato nella Milano ultrarossa dei “salotti buoni”

MILANO. Walter Tobagi, giornalista scrittore di libri e saggi storici, era socialista impegnato politicamente e socialmente. Tutte passioni che viveva al 100% ma sopratutto era un uomo del dialogo, un riformista ed un riformatore. Era quello che le Brigare Rosse e gli altri gruppi armati come Prima linea temevano di più, non la contrapposizione, il muro contro muro ma il dialogo, il confronto anche nelle assemblea infuocate del “corrierone” com’era chiamata allora la testata dove lavorava. Milano in quegli anni fra le sue nebbie celava odio, e spesso questo odio era nutrito “coperto” e foraggiato nei salotti buoni più che nelle periferie operaie del proletariato e del sottoproletariato.

Non era ancora la Milano da bere ma la Milano delle pistole, delle P.38 che avevano appena gambizzato Indro Montanelli, anche lui all’epoca giornalista del Corriere della Sera. La Milano delle chiavi inglesi che venivano usate dal servizio d’ordine dei gruppi extraparlamentari come Avanguardia Operaia, quelli che saranno gli assassini di Sergio Ramelli. Tempi lugubri in cui il terrorismo rosso alzava il tiro, oltre che democristiani e missini, personale delle forze dell’ordine gli uomini e le donne dei gruppi armati avevano deciso che bisognava colpire chi cercava il dialogo, la discussione il dibattito cercando di sfuggire le trame ed i tentacoli delle parole d’ordine di violenza e morte. Gli ultimi tempi Walter Tobagi visse fra intimidazioni e minacce ma senza mollare mai. All’epoca il Pci etichettavano i terroristi rossi con un affettuoso “compagni che sbagliano”.

Quei tempi li visse in solitudine, come sarebbe accaduto a Guido Rossa coraggioso sindacalista della Cgil che denunciò, pagando con la vita, la presenza degli infiltrati delle Brigate Rosse all’interno dell’Ansaldo di Genova. Il dialogo ed il coraggio concetti raccolto dal presidente Mattarella “Walter Tobagi fu ucciso barbaramente perché rappresentava ciò che i brigatisti negavano e volevano cancellare. Era un giornalista libero che indagava la realtà oltre gli stereotipi e pregiudizi, e i terroristi non tolleravano narrazioni diverse da quelle del loro schematismo ideologico”. A quarant’anni dall’assassinio del giornalista del Corriere della sera, Walter Tobagi, avvenuta a Milano il 28 maggio 1980, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ne ricorda il coraggio e l’autorevolezza sulle pagine del quotidiano di via Solferino. “Era un democratico, un riformatore, e questo risultava insopportabile al fanatismo estremista”, sottolinea Mattarella ricordando che “Tobagi è morto giovanissimo. A trentatré anni aveva già dimostrato straordinarie capacità, era leader sindacale dei giornalisti lombardi, aveva al suo attivo studi, saggi storici, indagini di carattere sociale e culturale”. E, ancora ricorda che “è stato ucciso in quei mesi, in cui altri uomini dello Stato, altri eroi civili, cadevano a Milano e in tutta Italia per fedeltà a quei principi di convivenza che la Mitologia rivoluzionaria, le trame eversive, le organizzazioni criminali di diversa natura volevano colpire”.
    Il Capo dello Stato, che esprime i “sentimenti di vicinanza alla famiglia Tobagi” sottolinea che “per il suo giornale Walter Tobagi è più di un simbolo: è esempio di un giornalismo libero, che non si piega davanti alla minaccia, che non rinuncia allo spirito critico nel raccontare la realtà, che vive nel pluralismo”. “Questo giorno di memoria è importante per il ‘Corriere della Sera’, che ha avuto in Tobagi una delle sue firme più prestigiose, e lo è per tutta la stampa italiana: la società è cambiata in questi decenni – scrive Mattarella – ma la sfida della libertà, dell’autonomia, dell’autorevolezza della professione giornalistica è sempre vitale. Il desiderio di scavare nella realtà per portare alla luce elementi nascosti, oltre a essere buon giornalismo, aiuta anche a trovare semi di speranza. Di questo – conclude il presidente – abbiamo bisogno”. Quel 28 maggio Walter Tobagi, a cui non venne mai assegnata una scorta, fu colpito alle spalle dai suoi assassini…senza pietà gli spararono ancora mentre era già morente a terra. Come a scacciare un feticcio, un ombra, la volontà di quell’uomo ora riverso nel suo sangue accanto alla borsa da lavoro e l’ombrello. Quel giorno a Milano pioveva e la città era più grigia del solito. Un giornalista che li sfidò e ne decretò con la sua morte l’inizio della fine politica e umana. Quel piccolo grande uomo, troppo grande per essere cancellato anche se crivellato di colpi di pistola.

Giuseppe Muri

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Giuseppe Muri

Giornalista pubblicista dagli Anni Ottanta, si occupa di cronaca e di costume. Ha lavorato per un lungo periodo nelle redazioni di testate locali piemontesi. Appassionato di storia, ha svolto alcune inchieste legate a fatti importanti che hanno caratterizzato il Novecento italiano.

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