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Tblisi, bloccato l’accesso al parlamento georgiano, chieste dimissioni del governo

TBLISI. Gli attivisti dell’opposizione georgiana hanno di fatto bloccato il palazzo del parlamento a Tbilisi con lucchetti alle porte e sacchetti di sabbia sulle strade di accesso. Unità di polizia si sono concentrate attorno al palazzo, secondo i media locali, con cannoni ad acqua posizionati in una strada adiacente. Il ministero degli Interni ha avvertito i manifestanti di sbloccare gli ingressi entro 30 minuti. Il leader del partito di opposizione Nuova Georgia, Giorgi Vashadze, ha detto che la protesta andrà avanti fino alle dimissioni. Dopo la mancata approvazione della legge sul proporzionale, giovedì 14 novembre, tutti i partiti di opposizione e gli attivisti della società civile si sono trovati uniti nella più grande opposizione corale contro le autorità degli ultimi anni. Raramente l’opposizione georgiana si raccoglie attorno ad uno stesso fronte comune. Ma questa volta, gli organizzatori, insieme agli esponenti dell’opposizione, hanno incoraggiato la popolazione a scatenare una serie di proteste, sfociate in un picco di partecipazione domenica, proprio come era stato previsto.

Alcuni attivisti della società civile hanno bloccato il viale Rustaveli, principale arteria della capitale, nella quale sono affluiti centinaia di manifestanti. Sono poi state montate delle tende, a dimostrazione della determinazione della folla a non cedere. I sentimenti di rabbia e amarezza che hanno unito l’intera opposizione sono la diretta conseguenza della mancata promessa di Bidzina Ivanishvili, leader del partito Sogno georgiano, di far passare la legge che avrebbe mutato il sistema elettorale da maggioritario a proporzionale già nel 2020, invece che nel 2024, come previsto dalla Costituzione. L’impegno era stato garantito alla popolazione durante un discorso pubblico di Ivanishvili lo scorso 24 giugno, con l’intento di porre fine alle proteste anti-russe che andavano avanti da giorni. Tuttavia, la speranza si è trasformata in disillusione quando diversi membri del Sogno georgiano hanno votato contro il disegno di legge, facendo cadere la proposta per 12 voti mancanti all’ottenimento della maggioranza necessaria. Infatti, sarebbe stata necessaria una maggioranza speciale, di tre quarti, trattandosi di una emendamento alla Costituzione. Comprensibilmente, tutti i membri dell’opposizione hanno votato a favore della modifica costituzionale. Dunque, tutto fa supporre che sia stato lo stesso Ivanishvili a guidare il suo gruppo parlamentare per bloccare l’iniziativa: è stato proprio grazie al sistema maggioritario che nelle scorse elezioni il Sogno georgiano, nelle parlamentari del 2016, ha guadagnato il 76 percento dei posti in parlamento pur avendo ottenuto solo il 48 percento dei voti.  Con tali premesse si comprendono le tre richieste centrali avanzate dai manifestanti in questi giorni di rivolta: la formazione di un governo ad interim, l’esclusione categorica di Ivanishvili da qualunque processo politico così come di tutti gli altri membri del Sogno georgiano e l’immediata disposizione di libere elezioni. Dalla parte dell’opposizione si sono schierati l’ambasciata statunitense in Georgia ed il relatore dell’APCE – assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa – i quali, in sostanza, hanno espresso sostegno alla società civile e hanno condannato l’esito della votazione, definendolo “un passo indietro” per il paese. L’elemento di novità di queste nuove proteste non è tanto la partecipazione di massa, quanto la coesione dell’opposizione di fronte alle mancate promesse del partito di maggioranza e del suo leader miliardario. È improbabile che si arrivi al grado di violenza contro la folla dello scorso giugno, considerando che anche il diritto alla manifestazione pacifica è una promessa fatta al popolo georgiano da Ivanishvili. L’alternativa per il Sogno georgiano, almeno per il momento, sembra essere quella di fare un passo indietro e riformare il sistema elettorale in vista del 2020. Con i manifestanti che picchettano gli ingressi del parlamento per bloccarne le attività, un compromesso sembra l’unica via percorribile.

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