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Dieci anni dopo il terremoto, fiaccolata all’Aquila con il premier Conte

L’AQUILA. L’Aquila si ferma, nel decennale della notte che ha cambiato tutto. Alle 3.32 del 6 aprile del 2009 la scossa che schiacciò 309 vite, lasciò 80mila persone senza casa e rase al suo interi borghi dell’Abruzzo. Dieci anni dopo, L’Aquila è una ferita ancora aperta. La ricostruzione procede a velocità diverse: da un lato quella privata, dall’ altro quella pubblica; da un lato il centro storico, dall’altro vicoli e frazioni. Così palazzi restaurati, splendidi nei loro ritrovati decori barocchi, convivono con edifici, ancora ingabbiati in corazze di tubi, o con case, ancora sommerse delle loro macerie. E 6.300 persone ancora vivono nelle casette d’emergenza.

Dieci anni dopo, in corteo, non c’erano solo i familiari delle vittime del sisma. Con loro anche le persone colpite da altri disastri, da Amatrice a Rigopiano, dall’Emilia a Viareggio, a San Giuliano di Puglia. Un decennale che ha riacceso i riflettori sulla città, presa d’assalto per l’anniversario dai media nazionali e internazionali. Tra gli ospiti il premier, Giuseppe Conte, che rispondendo ai giornalisti ha detto: “Sono passati dieci anni e abbiamo il dovere della memoria. Ci sono tante persone hanno perso i loro cari, che rivivono in questo momento una grande sofferenza. La mia presenza qui è la testimonianza che la ferita della comunità locale è una ferita della comunità nazionale”.

La partenza del corteo è avvenuta alle 22.30, da via XX settembre, ha raggiunto piazza Duomo intorno alla mezzanotte con la toccante sosta davanti al piazzale dove c’era la Casa dello Studente nella quale sono morti otto giovani universitari. Ad aprire il lungo serpentone umano lo striscione dei familiari delle vittime con la scritta “Per noi, per loro e per tutti” e su un lenzuolo i nomi dei 309 morti del sisma. Nella chiesa del Suffragio celebrata dal cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo metropolita dell’Aquila ha celebrato la Messa. Poi, nella notte, la veglia di preghiera “Aspettando le 3.32”, animata dalla Congregazione Salus Populi Aquilana. Ed infine l’ascolto dei 309 rintocchi in ricordo delle vittime del sisma del 2009.

Oltre al profondo dolore e alla commozione per le perdite umane e per le gravi ferite non del tutto rimarginate – che raggiunge il culmine nella lettura dei nomi in piazza Duomo e nei 309 rintocchi delle campane della chiesa di Santa Maria del Suffragio, riaperta al culto il 6 dicembre scorso alla presenza del Capo dello Stato – nella commemorazione del decennale si respira voglia di riscatto e di rinascita di una città che vuole tornare più bella di prima: in questo senso, il sentimento è interpretato dalle parole del sindaco che, rispetto ai reportage troppo negativi che hanno dato all’Italia e al mondo l’immagine di “una landa desolata, popolata di disperati, folli che hanno perso la fiducia, un narrazione ingenerosa, in alcuni casi addirittura falsa”, ha rivendicato, sia pure tra le difficoltà, la condizione di territorio “in rigenerazione”, di “città rimarginata” che non può e non deve essere considerata “una vergogna nazionale”.

Certo, l’Aquila da quel 6 aprile 2009 non è più la stessa, ma i cittadini resistono, nonostante tutto. Gli interventi pubblici portati a compimento sono appena 358 rispetto ai 1.038 quantificati dopo il terremoto. Le “New Town” sono ancora lì, ormai 19 quartieri dormitorio, totalmente privi di servizi o spazi per la socialità, sparpagliati attorno alla città. Totalmente lasciati al degrado e all’abbandono invece i numerosi moduli difettosi, con balconi che continuano a crollare. E se il centro cerca di recuperare la propria anima, con negozianti coraggiosi che alzano le saracinesche, la situazione è ben diversa nelle frazioni: clamoroso il caso di Onna, che secondo il cronoprogramma doveva essere la prima frazione a essere ricostruita. Dieci anni dopo, tutto è come prima. O meglio, i soldi per i lavori sono stati stanziati, e sono pronti a essere erogati, ma i cantieri avviati sono solo 6 su 21, dei quali solo tre quelli completati. Una sola famiglia è tornata nella sua casa originaria.

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Piero Abrate

Giornalista professionista dal 1990, in passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. È stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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