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Fotografato getto relativistico dopo lo scontro tra stelle di neutroni

Dopo oltre un anno di incertezze, il mistero è stato svelato: questo studio fornisce la prova che la sorgente di onde gravitazionali scoperta nell’agosto del 2017 ha lanciato un getto relativistico che ha bucato il materiale espulso nell’atto della fusione delle due stelle di neutroni. Ci sono voluti trentatré radio telescopi distribuiti in cinque continenti e trentasei astronomi di undici nazioni differenti per misurare le dimensioni di GW170817, la prima sorgente di onde gravitazionali rivelate dagli interferometri LIGO e Virgo, osservata anche nella sua componente elettromagnetica da decine di telescopi, a più di un anno dalla sua scoperta.

I risultati dello studio di un team internazionale coordinato da Giancarlo Ghirlanda, primo ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, e che ha visto la partecipazione di colleghi dell’INAF, ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Università di Milano-Bicocca, Gran Sasso Science Institute e Agenzia Spaziale Italiana, sono stati pubblicati sulla rivista Science. La ricerca mostra come dallo scontro di due stelle di neutroni abbia avuto origine un getto di energia e materia lanciato nello spazio interstellare a una velocità prossima a quella della luce. Le due stelle di neutroni, nell’atto di fondersi, hanno rilasciato nello spazio circostante materiale ricco di neutroni, che ha formato metalli pesanti. Il getto ha dovuto farsi strada attraverso questo materiale. Se non fosse riuscito a emergere avrebbe depositato al suo interno la propria energia, provocando un’esplosione quasi sferica. È ben presto apparso chiaro che studiare il cambiamento della luminosità della sorgente nel tempo non sarebbe bastato per capire se il getto ce l’avesse fatta o meno a bucare la coltre di materiale circostante. Per scoprirlo, i ricercatori hanno deciso di misurare quanto fosse grande la sorgente.


La mappa dei trentatré radio telescopi distribuiti nel mondo

Dimensioni così piccole sono misurabili solamente con la tecnica chiamata Very Long Baseline Interferometry (VLBI), che combina le osservazioni dei più grandi radio telescopi sulla Terra: maggiore è la distanza fra le antenne utilizzate e più piccoli sono i dettagli delle sorgenti celesti che è possibile distinguere. A questa osservazione hanno anche preso parte due antenne italiane dell’INAF situate a Medicina (vicino Bologna) e Noto (in Sicilia), entrambe del diametro di 32 metri. “Dopo diversi mesi un’esplosione sferica, a una distanza come quella di GW170817, sarebbe apparsa come una bolla luminosa delle dimensioni apparenti di circa un milionesimo di grado – come una moneta da un euro vista da 1000 chilometri di distanza – mentre un getto sarebbe apparso significativamente più piccolo, non più grande della metà”, spiega Ghirlanda, che è primo autore dell’articolo che illustra lo studio.

Nella prossima primavera i rivelatori di onde gravitazionali Virgo e LIGO rientreranno in funzione, ‘ascoltando’ un volume di Universo più grande. Ci aspettiamo molti nuovi segnali, e questo tipo di osservazioni saranno fondamentali per capire come si origina l’immensa energia emessa in questi eventi” ha aggiunto Marica Branchesi, ricercatrice del Gran Sasso Science Institute e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, fra gli autori del lavoro.

Un’ informazione fondamentale che aggiunge un ulteriore tassello alla nostra comprensione di tali fenomeni: grazie a osservazioni di questo tipo, nei prossimi anni potremo avere un’idea più completa e precisa delle varie fasi della vita di buchi neri e stelle di neutroni, a partire dalla loro formazione.

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