HONG KONG. La contestata legge sulle estradizioni verso la Cina da Hong Kong “è morta“. Lo ha detto in conferenza stampa la governatrice dell’ex protettorato britannico, Carrie Lam, dopo settimane di proteste di piazza.
Lam ha escluso che il governo intenda riavviare il processo nel Consiglio legislativo: “Lo ripeto, non esiste un piano del genere – ha detto -, la legge è morta“. Nonostante queste rassicurazioni, tuttavia, le proteste di piazza continueranno fino al ritiro formale della legge: lo ha annunciato un importante gruppo dei manifestanti, il Civil Human Rights Forum. Uno dei principali attivisti, Joshua Wong, ha definito su Twitter “un’altra ridicola bugia” le parole di Lam- «non è una cosa facile. – ha detto – Ho ancora l’entusiasmo e la responsabilità per servire la cosa pubblica. Spero che le persone possano dare al mio team e a me chance e spazio per implementare un nuovo stile di amministrazione». Il nervosismo resta comunque elevato.
Le manifestazioni contro il testo finito in stand by potrebbero tradursi in una richiesta più ampia di modernizzazione dell’apparato istituzionale di Hong-Kong, oggi classificato come una «semi-democrazia» su scala internazionale. Le proteste sono esplose nella prima metà del giugno 2019, di fronte a un provvedimento ritenuto pericoloso per l’autonomia giudiziaria dell’ex colonia britannica. La proposta parlamentare cercava di semplificare l’estradizione di indagati alla Cina, consentendo alla Repubblica popolare cinese di chiedere e ottenere la consegna di individui sulla base di semplici «sospetti».
Il timore è che la norma sarebbe equivalsa a una cessione di sovranità alla Cina, incrinando il principio regolatore del «one country, two sytems»: la convivenza sotto a un paese unico (la Cina) di due sistemi diversi (Cina e Hong Kong). Non è la prima volta che l’opposizione pubblica si ribella alle ingerenze della madre patria. Nel 2014 la città-stato, tecnicamente una Regione amministrativa speciale della Cina, era stata bloccata per 79 giorni da manifestazioni in favore di una apertura democratica del paese: la cosiddetta Rivoluzione degli ombrelli , una mobilitazione per ottenere il suffragio universale completo alle urne, chiamata così per l’uso di parapioggia in difesa dai fumogeni della polizia