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Nuova Zelanda, per il killer delle moschee 50 capi d’accusa per omicidio

WELLINGTON. L’autore della strage nelle moschee di Christchurch, Brenton Tarrant, dovrà rispondere di 50 capi d’accusa per omicidio e altri 39 per tentato omicidio: lo ha reso noto la polizia neozelandese.

Tarrant, 28 anni, cittadino australiano originario dello Stato di New South Wales, sulla costa orientale del Paese, nei suoi deliri online aveva pubblicato su Facebook un un manifesto di 80 pagine, poi prontamente rimosso. “Vengo da una famiglia di lavoratori, gente che ha sempre guadagnato poco” diceva di sé il killer. Metteva poi insieme una sfilza di riferimenti che vanno da Anders Breivik, autore nel 2011 della strage sull’isola norvegese di Utoya dove morirono 69 persone, a Dylann Roof, il giovane suprematista bianco che nel 2015 assassinò nove fedeli afroamericani nella chiesa metodista di Charleston, in Carolina del Sud. “Ho letto gli scritti di Roof e di molti altri. Ma il mio vero idolo, colui che mi ha ispirato è il cavaliere e giustiziere Breivik”, proseguiva Tarrant, aggiungendo che aveva compiuto la strage per vendicare la morte della piccola Ebba Akerlund, la ragazzina di 11 anni morta nell’aprile 2017 nell’attacco terroristico di  Stoccolma sull’arteria pedonale Drottninggatan, dove un camion travolse la folla causando la morte di 5 civili.

La polizia aveva deciso di non diffondere il “Manifesto” che l’australiano aveva pubblicato su un suo profilo social e dove fra l’altro racconta che l’attentato è stato preparato nell’arco degli ultimi due anni e che avrebbe dovuto essere messo in atto in Australia. Poi la decisione di colpire la Nuova Zelanda per dimostrare che nessun paese può ritenersi al sicuro dal terrorismo.


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Piero Abrate

Giornalista professionista dal 1990, in passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. È stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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