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Robiola di Roccaverano, un formaggio che ci riporta all’epoca dei Celti

CUNEO. Le origini della Robiola di Roccaverano risalgono ai Celti, che iniziarono a produrre un formaggio del tutto simile a quello attuale. Non a caso, della Robiola di Roccaverano si fa menzione nelle cronache dell’anno 1000. Con l’avvento dei Romani questo formaggio assunse il nome di rubeola, dal latino ruber, termine con cui veniva indicato il colore rossastro che la crosta assumeva al termine della stagionatura. Tra l’altro, delle qualità di questo formaggio e del suo processo produttivo scrisse Plinio il Vecchio.

Nel 1899 il sacerdote Pistone scrisse i primi documenti storici contemporanei di questo formaggio nelle cronache della parrocchia di Roccaverano, in relazione al periodo compreso tra il 960 e il 1860. A quei tempi la Robiola veniva esportata in buona parte in Francia.

La prima certificazione di origine della Robiola di Roccaverano risale a livello nazionale al 1979, mentre il riconoscimento europeo è datato luglio 1996.

Il prodotto

Si tratta di un formaggio fresco, a latte crudo, a pasta cruda e privo di crosta. Deve contenere come minimo il 50% di latte caprino, che può essere integrato con percentuali variabili di latte vaccino e/o ovino. Il latte viene portato a temperatura di 18 °C, con aggiunta di presame liquido; talvolta viene spruzzato di sale da cucina. Può essere consumato dopo il 4º giorno dalla cagliata. Le lattifere vivono allo stato brado cibandosi di erbe e sterpaglie delle colline piemontesi. Pertanto le differenze tra una Robiola e l’altra sono rilevanti: i fiori, le erbe e la flora batterica dei pascoli si trasferiscono nel formaggio.

Si presenta in forme cilindriche, di diametro tra i 10 e i 15 centimetri, con bordi arrotondati, di peso unitario mediamente tra 250 e 350 grammi. Il colore della pasta va dal bianco al paglierino scarico, al decrescere della percentuale di latte caprino. Il gusto, essenzialmente dolce, si fa più sapido nelle forme più stagionate.

La Robiola di Roccaverano è ben accompagnato da vini quali la barbera d’Asti, la barbera del Monferrato, il dolcetto di Ovada e il grignolino d’Asti. E’ Presidio Slow Food in quanto “..nel 1990 rimanevano soltanto 200 capi di capre di Roccaverano, ma ora proprio il rilancio del formaggio fatto con il loro latte ha dato l’avvio a importanti iniziative per la loro salvaguardia”.

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Piero Abrate

Giornalista professionista dal 1990, in passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. È stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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