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Sono di Rosario e Salvatore Manfreda i cadaveri trovati nel bosco a Mesoraca

CROTONE. Sono di Rosario e Salvatore Manfreda, di 68 e 35 anni, padre e figlio, i corpi trovati nel settembre scorso a Mesoraca, nel crotonese. A stabilirlo definitivamente sono stati gli accertamenti biologici eseguiti, attraverso il Dna, dai carabinieri del Ris di Messina. Rosario e Salvatore Manfreda erano scomparsi il giorno di Pasqua dello scorso anno e l’ipotesi investigativa che era stata fatta fin da subito dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Crotone, con il coordinamento del pm della Procura della Repubblica, Alessandro Rho, era che i due fossero stati uccisi ed i loro cadaveri fatti sparire. Ipotesi confermata dalle fasi successive delle indagini. Per il duplice omicidio sono stati arrestati Pasquale e Salvatore Emanuel Buonvicino, di 53 e 21 anni, padre e figlio.

    Un terzo arrestato, Pietro Lavigna, di 51 anni, é accusato soltanto della soppressione dei due cadaveri. Movente del duplice omicidio sarebbe stati contrasti per confini di terreni. L’ipotesi degli investigatori si era concentrata sulla possibilità di un ennesimo caso di “lupara bianca”: le modalità della sparizione – e molto probabilmente dell’esecuzione – di Rosario e Salvatore Manfreda, padre e figlio di 68 e 35 anni, d’altronde, configuravano la tipica “metrica” mafiosa. Quella “maledetta” domenica di Pasqua, nell’aprile scorso, i due agricoltori originari di Foresta di Petilia Policastro, nel crotonese, sono infatti scomparsi dopo essere usciti di casa a bordo del loro fuoristrada, un Ford Maverick che sarà poi trovato completamente bruciato. Alla base della loro sparizione però si celerebbe un motivo, per così dire, più “spicciolo”: ovvero dissidi tra confinanti. Le indagini dei carabinieri di Petilia e del Nucleo Investigativo del capoluogo pitagorico si erano infatti concentrate, nei giorni successivi al fatto, su alcuni vicini di terreno, tra l’altro legati da vincoli di parentela tra loro ed anche con i due Manfreda. Parliamo di Pietro Lavigna (49 anni), e Pasquale e Salvatore Emanuel Buonvicino (quest’ultimi due anche loro padre e figlio e rispettivamente di 51 e 20 anni), oggi sottoposti a fermo essendo ritenuti i responsabili della scomparsa e dell’assassinio degli allevatori petilini. A spiegare i presunti motivi della sparizione e del prevedibile duplice omicidio dei Manfreda è stato il comandante provinciale dei Carabinieri di Crotone, il colonnello Alessandro Colella che stamani, nel corso di una conferenza, ha parlato appunto di “banali litigi” tra confinanti, così come di invasioni di terreni da parte di capi di bestiame, e anche e probabilmente di un dissidio nato nel tempo per questioni ereditarie legate sempre ad un terreno. Insomma, nonostante il nome delle vittime facesse pensare a motivazioni legate a questioni di ‘ndrangheta, così non sarebbe, anzi. Ma come sono arrivati gli investigatori a questa conclusione? A raccontarlo è stato il capitano Roberto Rampino, del Nucleo Investigativo dell’Arma di Crotone. Si parte dall’analisi del luogo del presunto omicidio, ovvero di un’area di campagna difficilmente frequentata da chi non abbia qualche interesse a recarcisi, ovvero un fondo agricolo oppure degli animali. Un luogo, poi, dove soprattutto in quella mattina di Pasqua nessuno ci era andato. Eccetto i fermati, evidenziano gli inquirenti. L’elemento che però aveva già fatto ritenere agli inquirenti che i due Manfreda siano stati effettivamente ammazzati, sono stati i ritrovamenti – in più giorni e più posti – di importanti tracce ematiche e di resti cerebrali, nei pressi dei quali vi erano dei pallini in piombo e, più di recente, un bossolo di fucile calibro 12. “Con questi rinvenimenti – ha sottolineato ancora Rampino – tra l’altro a distanza l’uno dall’altro di circa 70 metri, la ricostruzione, effettivamente, è che le vittime siano state inseguite e soppresse prima l’uno e immediatamente dopo l’altro”, presumibilmente, dunque, mentre cercassero di fuggire dai loro carnefici”.

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