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Tienanmen 30 anni dopo: in Cina torna lo spettro della repressione

PECHINO. Esattamente 30 anni fa, tra il 3 e il 4 giugno 1989, negli stessi giorni in cui in Europa si votava per il nuovo Parlamento Europeo (in un tempo in cui l’Europa è ancora un sogno per molti) a Pechino finiva il sogno. Di quei giorni ci resta una delle foto più famose del ‘900 (quella dell’uomo fermo di fronte al carro armato) e qualche documento scritto, non molto di più. Alcuni di quei documenti, si trovano nella Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano. Sono testi, volantini, giornali murali, disegni che in quelle settimane girarono in quella piazza. Pochi documenti che rappresentano l’unica possibilità, in assenza di voci testimoniali raccolte allora, di dire che quella piazza è esistita per davvero, che non fu una bufala.

tienanmen 30 anni

Sono passati tre decenni e Wu’er Kaixi, uno dei leader delle proteste del 1989, non ha mancato l’occasione per ribadire nel fine settimana, da Taiwan, l’orgoglio della partecipazione alle proteste credendo fermamente nella democrazia: “Probabilmente solo coloro che sono diventati ricchi avvantaggiandosi dei sistemi democratici – ha ribadito – potranno sentire che la democrazia non è importante. Sento tutto il senso dell’importanza della democrazia”. Ma rimane una voce isolata, quella di un esule.

La più grande beffa della storia successiva a quegli eventi è proprio il silenzio che a quegli eventi è poi seguito, eccetto rare voci, come quella di Wu’er Kaixi o di Zhu Xiao-Mei. Trenta anni dopo forse siamo solo noi di qua (a dire il vero, pochi anche da noi) a ricordare quelle scene, quando tutto il mondo pensava che anche lì, in quella piazza, si aprisse un percorso, simile a quello di altre piazze. Ma così non fu.

tienanmen 30 anni


 A 30 anni di distanza non è cambiato nulla. O quasi. Nella simbolica ricorrenza, la censura ha lavorato a pieno ritmo, ripulendo Internet con gli algoritmi e provvedendo a fermi e arresti preventivi, mentre per i millennial c’è un “vuoto di memoria” frutto della potente e sperimentata arma dell’oblio. Nell’imminenza dell’anniversario Amnesty International ha denunciato nuove persecuzioni ai danni di coloro che cercano di tenere una qualsiasi commemorazione. Nelle ultime settimane, la polizia ha arrestato, posto agli arresti domiciliari o minacciato decine di attivisti, compresi i familiari delle vittime. “Trent’anni dopo quel bagno di sangue è davvero il minimo che le vittime e le loro famiglie ricevano giustizia. Invece, il presidente Xi continua a praticare le stesse politica di chi lo ha preceduto: perseguitare coloro che chiedono la verità nel tentativo di cancellare la memoria del 4 giugno”, ribadisce Roseann Rife, capo delle ricerche sull’Asia di Amnesty.

Alcune famiglie delle vittime o associazioni come “Le Madri di Tiananmen”, gruppo voluto dai genitori di 200 studenti, chiedono indagini e trasparenza con voce sempre più flebile. “Il governo cinese deve rendersi conto che nessun tentativo di soppressione potrà mai cancellare l’orrore di quel massacro – aggiunge Rife -. Un primo passo in direzione della giustizia sarebbe quello di consentire finalmente, anche ai genitori ormai anziani che 30 anni fa persero i loro figli, di commemorare le vittime di Tianamnen”

Per commemorare i trenta anni dalla strage, a Hong Kong – dove ogni anno si tiene una veglia per ricordare le vittime alla vigilia dell’anniversario – un gruppo di attivisti ha riaperto, dopo tre anni, un museo che raggruppa reperti dei momenti più tragici delle proteste. Tra cui le repliche della Dea della Democrazia e della Libertà, la statua in polistirolo e cartapesta alta dieci metri che fu costruita dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Pechino durante le proteste. Fu eretta il 30 maggio in piazza Tienanmen proprio di fronte alla grande fotografia di Mao Zedong e distrutta dall’Esercito Popolare di Liberazione il 4 giugno. Voci flebili che si spezzano sulla grande muraglia di quella che è diventata la seconda economia mondiale.

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Piero Abrate

Giornalista professionista dal 1990, in passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. È stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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