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Vita o morte politica: sinistra eretica o morte della sinistra

La sinistra odierna appare bella ma ingiusta.

Bella per la sua storia di conquiste illuminanti a favore degli sfruttati e dei meno fortunati. Ingiusta perché davanti alla generale sfiducia nel suo a-riformismo welfaristico, invece di sforzarsi nel riunire all’insegna della politicità sociale le plurime competenze giovanili e anziane del Paese, invece di scendere nelle manifatture delle aziende, nelle periferie, nei centri per l’orientamento post-universitario, nelle botteghe e negli arcipelaghi piangenti dei commercianti a piccole partite IVA, si affanna a concludere accordi per poltrone di posizione, nelle liste elettorali come nelle istituzioni. La sinistra odierna invece che aprire circoli di riflessione e coordinamento popolare apre intese con finanziatori, che oggi ci sono, e domani non si sa.

A questa sinistra di cortesia istituzionale gli italiani, anche quelli non di sinistra, preferivano una pulsante sinistra a politicità eretica e post-ideologica al contempo. In parole povere, una sinistra che non procede per semplici categorie lavorative, ma che si affanna nel tutelare gli ultimi di ogni categoria, operaistica o impresaria dal basso che sia.

Gli italiani preferivano una sinistra fatta di animi pensanti e critici, fatta di persone che si sforzano di lavorare al meglio senza far coincidere la dignità del proprio vivere con la quantificazione dei propri introiti economici. La morale lavorista e dignitaria della sinistra che ama gli individui e li vuol promuovere anche nei gruppi che gli individui scelgono di vivere o meno, oggi, è una morale che si è troppo confusa con l’automatismo delle corrispondenze sovranazionali di cortesia.

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Enrico Berlinguer alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia nel 1983, (Foto Luigi Ghirri)

L’ombra delle sinistre è rimasta, per qualcuno, nelle vocazioni di aumento della pressione fiscale. In realtà non è di sinistra aumentare la pressione fiscale imponendo pagamenti a chi con il sudore della fronte ha costruito o mantenuto case e coltivato terreni, magari poco utilizzabili a livello economico per come risulta strutturata la società odierna. Non è di sinistra, ad esempio, il tassare aprioristicamente senza indagare sulla redditività monetaria di un immobile vecchio in un territorio poco turistico. È di sinistra invece entrare nelle officine e sulle scrivanie dei grandi centri di produzione di beni e servizi vari, per confrontare le condizioni di lavoro effettive con le condizioni dichiarate sulla carta dai pochi magnati detentori del destino reddituale dei lavoratori precari e subalterni.

Il valore italiano è anche un valore morale, ideale, che si concretizza nella misura in cui si promuove l’orgoglio del libero vivere in società da parte degli individui, gli uni accanto agli altri, senza favoritismi ed apriorismi per reddito, sesso, nascita, etnia ed apparato familiare.

La sinistra dovrebbe avere un controllo omnigestito – e non autoreferenziale – di promozione dei propri rappresentanti nelle istituzioni. Gira e rigira son spesso gli stessi, con qualche familiare di tradizione sinistrina alle spalle che ha fatto da promoter, o nel migliore dei casi con cooptazioni poco razionali e poco meritocratiche. In questo la sinistra novecentesca voleva essere diversa dalla destra, ma agli occhi della gente oggi questo intento risulta tradito.

La sinistra parlava di parità e di opportunità per tutte e tutti, e ha tradito molte delle sue vocazioni. Le fortune ornamentali che di famiglia in famiglia si perpetuano favoriscono una assopita omogeneizzazione di linguaggio, cultura e struttura, nonché l’elezione dei soliti noti o dei loro collegati ignoti, senza meccanismi d’innovazione vera. Di tutto ha perduto spessore critico.

Quale auto-incantesimo nefasto ha posto in essere la sinistra politica per meritarsi una posizione di relativismo, scaduto prima in fungibilismo con le destre, e poi in nichilismo senza identità?

La sinistra italiana dopo l’Unità d’Italia ha giuocato un ruolo storico nell’aprire il Regno d’Italia alle istanze popolari, nel periodo di crisi dello Stato liberale tradizionale a fine Ottocento. La sinistra storica ha contribuito ad estendere la voce di chi per censo non poteva votare. La sinistra tradizionale ha edificato spazi morali e fisici – alternativi alle cooperative cattoliche – dove far vivere in una dimensione comunitaria di classe sociale affratellata i lavoratori subalterni, rendendo meno aggressiva e disaggregativa la società di massa a inizio Novecento. Tutto questo non bastava, e si sono fatti altri passi in avanti, per la socializzazione delle esistenze meno fortunate che sino ad allora venivano lasciate al buio, lontane dall’informazione e dalle dialettiche delle coscienze pubbliche.

La sinistra ha storicamente stanziato i capitali umani sindacali per organizzare letture e discussioni liberamente accessibili a tutte e tutti. La sinistra ha accolto le istanze identitarie di assorellamento delle donne, con il femminismo e le battaglie per la parità tra i generi.

La sinistra socialista e comunista in Italia, lontana dai dogmatismi bellici del leninismo, pur tra retoriche e slogan facili, nel Novecento ha contribuito a far emergere le fragilità e con esse le istanze di pari dignità che ogni lavoratore meritava.

La sinistra ha avuto un grande ruolo insieme alla parte cattolica e laica radicale nella lotta contro il nazifascismo. Purtroppo è stata molto spesso silente davanti alle incomprese nefandezze totalitarie dello stalinismo.

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La sinistra della contemporaneità aveva trovato un proprio equilibrio identitario e programmatico nell’ascolto delle classi produttive in difficoltà, nella rappresentanza dinamica e dialettica delle tasche infrante, e con esse delle precarietà professionali. La sinistra della contemporaneità aveva accettato l’interclassismo sociale, la liceità morale della diversità dei ruoli economici in azienda. Ma oggi la sinistra non è più una sinistra d’azione con mente, corpo e spirito da condividere là fuori all’insegna della promozione della meritocrazia.

La post-contemporaneità in corso ci dimostra le distorsioni tra dottrine e pratiche sociopolitiche, e ci richiede di essere non automi bensì contro le illiberalità degli apriorismi, nelle imposizioni fiscali e nelle promozioni culturali.

L’eccessiva tassazione non aderente alle esigenze di libertà e di produttività, gli automatismi e gli apriorismi nel considerare le ricchezze ferme al pari di quelle in movimento produttivo, le insensibilità verso gli ascensori sociali che consentano ad un operaio di diventare imprenditore, artista autoprodotto o chi vuol davvero essere, ed altro ancora, hanno recintato i buoni propositi della sinistra liberale post-ideologica. Negli ultimi anni la sinistra ha perso la propria vocazione e la propria missione socioeconomica, perché si assiste ad una crisi identitaria nella specifica politicità di alternativa al liberalismo delle destre moderate. Sul piano programmatico molti cittadini non comprendono le differenze in concreto tra le diverse sfumature di liberalismo, dell’attuale centrodestra e della sinistra.

Come ha scritto il professor Ilvo Diamanti nella sua opera intitolata ‘Democrazie ibrida’: “Non più rappresentativa ma neanche diretta. Quella italiana sembra piuttosto una democrazia ibrida. Dove si combinano elementi vecchi e nuovi. Se in molti parlano di passaggio, non siamo in grado di capire verso dove. Verso cosa. Ci scopriamo sospesi tra passato e futuro”.

Una sinistra può esser tale solo ove si riaffacci ad una messa in discussione della realtà nei suoi punti dolenti, con un metodo riformista innovatore e capace di muovere gli animi. Senza la valorizzazione delle prospettive di crescita economico-culturale per ogni individuo – nessuno escluso – la sinistra ha perso la propria specificità funzionale, a livello sociopolitico.

Una sinistra liberata dalle etichette del neoretoricamente corretto, una sinistra non ornamentale bensì eretica e di militanze per le strade, capace di onorare le cause politiche sconvolgendo e scandalizzando i consessi sovranazionali a rime obbligate, una sinistra che costruisca più circoli e meno relazioni sottobanco, una sinistra che accompagni il dolore socioeconomico umano senza guardarlo semplicemente dall’alto di una sapienza che non ha.

Dalla realizzazione o meno di queste coordinate da parte di qualche estesa e coraggiosa anima politica si decreterà l’utilità o l’inutilità del termine “Sinistra”, nei prossimi anni.

Luigi Trisolino

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