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Il mondo piange Maradona, folle genio che ha segnato la storia del calcio

Ieri dopo la notizia della morte di Diego Armando Maradona, la leggenda del calcio mondiale che se n’è andato all’età di 60 anni a causa di un arresto cardiorespiratorio, c’è stato un sussulto nel cuore e nell’anima di molte persone. E non mi riferisco solo ed esclusivamente agli appassionati sportivi. In molti come me avranno avuto la sensazione che nel nostro io più profondo si rompesse qualcosa di cui prima di allora non conoscevamo l’esistenza, o meglio la ignoravamo. Qualcosa rimasto celato per molto tempo e che come un prezioso cimelio di cristallo si sia palesato improvvisamente frantumandosi in mille pezzi.

Il paragone col cristallo è il più calzante in quanto sintesi perfetta di quello che rappresentava Diego: la straordinaria bellezza espressa attraverso l’esaltazione del gioco del calcio e l’estrema fragilità che lo ha accompagnato fuori dal campo, in una vita vissuta all’insegna di sesso, droga e rock ‘n roll.

Come una medaglia a due facce ‘El pibe de oro‘ ha rappresentato vizi e virtù del genere umano, contemporaneamente genio e sregolatezza. Lo si può amare o odiare ma è stato un esempio sia nel bene che nel male. Dal punto di vista prettamente calcistico è stato il punto di riferimento per generazioni intere, e probabilmente lo rimarrà ancora per molto tempo. Indiscutibilmente la vera essenza del calcio.

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C’è un prima e dopo Maradona, lo testimoniano i numerosi modi di dire coniati dopo le sue epiche gesta. Come ad esempio quando vediamo un calciatore fare il funambolo in campo siamo soliti dire: “E chi ti credi di essere Maradona?“. Oppure se vediamo un giocatore dribblare mezza squadra avversaria e siglare una splendida rete il commento spontaneo è: “Ha fatto un gol alla Maradona“.

Mentre fuori dal rettangolo verde ‘El Diez‘ è stato sopraffatto da un demone che lo ha divorato dall’interno, portandolo all’autodistruzione soprattutto a causa della cocaina. Senza dimenticare gli innumerevoli tradimenti nei confronti della ex moglie Claudia Villafañe, le frequentazioni con noti esponenti della Camorra dell’epoca, in particolare i reggenti del clan Giuliano, e le troppe notti insonni trascorse nei più famosi locali partenopei.

Ma anche in questo caso è stato un vero esempio: senza volerlo ha lanciato un monito al mondo intero mostrando e dimostrando come anche il più grande talento può essere sprecato amaramente se non custodito a dovere. In campo il fantasista argentino era dotato di un acume tattico al di fuori della norma, con un cervello capace di intuire come si sarebbe sviluppata un’azione prima degli altri. Mentre dismessi i panni da calciatore e indossati quelli dell’uomo sembrava che la sua mente venisse offuscata e finisse inevitabilmente per cadere in un baratro senza fine.

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I campioni del recente passato e quelli attuali si sono ispirati a lui imitandone le movenze in campo e tenendo bene a mente gli errori fatti al di fuori del rettangolo di gioco, per non ripeterli. Se oggi ci sono professionisti del calibro di Messi, Ronaldo, Ibrahimovic, Mbappe e Buffon, lo si deve alla loro grande forza di volontà, alle loro abilità, ma un po’ è anche merito di Maradona.

Sono estremamente significative le parole dette dallo stesso Diego riferendosi alla sua carriera: “Quando sei in campo la vita sparisce. I problemi spariscono. Sparisce tutto“. La stessa identica sensazione vissuta dai tifosi del Napoli che in quel periodo andando ad ammirare le gesta del numero dieci azzurro per eccellenza finivano inesorabilmente per dimenticare i problemi che affliggevano un territorio considerato tra i più poveri e i più malfamati d’Italia. La magia era dentro lo stadio e mentre tutto il resto rimaneva fuori.

In molti pensano erroneamente che non si sia mai impegnato a dovere come atleta. Come ha dichiarato in più occasioni durante i sette anni al Napoli capitava spesso che facesse vita da atleta dal giovedì alla domenica, mentre vita da rockstar dalla domenica sera al mercoledì notte. Ma è anche vero che dopo il primo anno in Serie A, attraverso allenamenti mirati con il suo preparatore atletico, avesse cercato un costante miglioramento che gli permettesse di esprimersi al meglio in un campionato considerato in quel periodo storico come il più competitivo e il più ostico del mondo.

I due gol di Maradona in Argentina-Inghilterra nel Mondiale del 1986 in Messico

E ci riuscì perché dopo una prima stagione di ambientamento, la squadra arrivò ottava a fine campionato 1984/85, l’anno successivo raggiunse la terza posizione. Poi il 1986 fu un’anno storico per il numero 10: l’anno della conquista del Mondiale in Messico, il secondo per l’Argentina, con i due gol d’antologia siglati contro l’Inghilterra nei quarti di finale (quello con la celeberrima “mano de Dios” e la strabiliante serpentina di dribbling partita da centrocampo e terminata con un gol epico) e l’inizio della stagione calcistica (1986/87) che avrebbe portato in dote il primo scudetto nella storia del Napoli e una Coppa Italia. Con il suo capitano la squadra vinse ancora una Coppa Uefa (1988/89), il secondo scudetto (1989/90) e una Supercoppa italiana (1990).

La parabola discendente del campione toccò il punto più basso dopo i Mondiali in Italia nel 1990, quando il caso volle che allo stadio San Paolo di Napoli la sua Selección incontrasse in semifinale l’Italia e la eliminasse ai calci di rigore. Prima dell’incontro l’idolo incontrastato della città aveva chiamato a raccolta i napoletani chiedendo esplicitamente, come un moderno Masaniello, di sostenere la Nazionale albiceleste sia per sostenere il suo campione che tanto aveva dato a questa piazza ma in un certo qual senso anche per ribellarsi all’Italia: denigrato e bistrattato in ogni stadio e piazza del Paese, per il popolo partenopeo tifare Argentina era un modo per ottenere il proprio riscatto sociale.

La metaforica chiamata alle armi gli costò cara, d’un tratto si trovò contro tutta la stampa italiana, le istituzioni e gran parte dell’opinione pubblica. Addirittura i cosiddetti ‘santi in paradiso’, che dal suo approdo a Napoli lo proteggevano e si professavano grandi amici, gli girarono in un batter d’occhio le spalle: l’inesorabile caduta a terra fu rovinosa. L’esperienza italiana si concluse definitivamente il 17 marzo 1991 dopo un controllo antidoping effettuato al termine del match di campionato Napoli-Bari che attestò la positività alla cocaina, con la conseguente squalifica di un anno e mezzo.

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Oggi Maradona non è più tra noi in carne ed ossa, ma il suo spirito lo sarà in eterno. Sarebbe bello immaginarlo salire al cospetto di San Pietro con il pallone tra i piedi e dribblarlo come solo lui saprebbe fare, per poi involarsi dentro la porta che conduce al paradiso eterno. Una volta varcato l’ingresso sarebbe sicuramente attorniato da migliaia e migliaia di anime beate, come gli accadeva in terra, e lui intuendo la situazione prima degli altri, come era solito fare in campo, sorprenderebbe tutti affermando: “Lo so, volete sapere quello che vi siete persi. Ma se preferite ve lo posso semplicemente far vedere”.

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Carlo Saccomando

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Carlo Saccomando

Classe 1981, giornalista pubblicista. Poco dopo gli studi ha intrapreso la carriera teatrale partecipando a spettacoli diretti da registi di caratura internazionale come Gian Carlo Menotti, fondatore del "Festival dei Due Mondi" di Spoleto, Lucio Dalla, Renzo Sicco e Michał Znaniecki. Da sempre appassionato di sport lo racconta con passione e un pizzico di ironia. Attualmente dirige il quotidiano "Il Valore Italiano".

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