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“Laudato Sì”, messaggio di papa Francesco in dialogo con il mondo

Sono passati più di sei anni dal giorno in cui papa Francesco scriveva, nella “Laudato sì” con tono quasi sommesso ma in modo autorevole, “In questa Enciclica mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla casa comune”. Ho ripreso questa frase, che mi sembra molto significativa per esprimere lo stile dell’autore, sia per introdurre una riflessione sul valore di questo documento pontificio, sia per verificare la portata storica di questo testo perché, a ben guardare, questa lettera, da collegare ovviamente ad un’altra lettera di qualche anno, “Fratelli tutti”, rappresenta una pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa.

Una riflessione sul titolo

Il titolo – “Laudato Sì” – presenta subito una peculiarità che merita di essere evidenziata. Pur essendo un’enciclica che tratta di ecologia, non porta questo termine nell’incipit. La giustificazione c’è. L’uso della parola ecologia avrebbe certamente portato il lettore a pensare subito all’ambiente, alla situazione climatica e alle variazioni termiche. Per papa Francesco la parola ecologia – come vedremo più avanti – ha un contenuto molto più ampio, contenuto sul quale si dovrà proprio riflettere.

Il pontefice ha scelto invece di iniziare la sua riflessione, prendendo un verso di San Francesco che con il Cantico delle Creature ha introdotto un nuova visione sociale, sotto alcuni aspetti rivoluzionaria per quei tempi, chiamando tutti gli esseri animati o non animati fratelli e sorelle. Per inciso sottolineo il motivo per il quale ho chiamato rivoluzionaria la visione di Francesco di Assisi.

Partendo dalla considerazione che il “Poverello” viveva nel Medioevo, la cultura anche giuridica del tempo affermava che l’uomo, in quanto possessore di beni, aveva diritto di esercitare su questi il “ius utendi atque abutendi” e, di conseguenza, tutto era lecito, compresa la prerogativa di distruggere quanto era nella sua sfera giuridica. Aveva contribuito a creare questa mentalità il diritto romano ma, nello stesso tempo, un contributo non da poco era arrivato anche dal cristianesimo, che vedeva, partendo dall’interpretazione delle prime pagine delle Sacre Scritture, nell’uomo, creato da Dio, l’essere destinato a dominare la terra, mentre più corretta sarebbe stata una visione che individuava in lui il custode attento e rispettoso della terra. Francesco con il suo Cantico offre una visione molto vicina a questa seconda interpretazione e, di conseguenza, “rivoluzionaria” per il suo tempo.

L’enciclica e la dottrina sociale della Chiesa

La “Laudato Sì” si colloca tra i documenti che compongono il catalogo dei testi della dottrina sociale della Chiesa e ha un obiettivo molto preciso, quello di inserirsi nel dibattito culturale contemporaneo sui problemi della “casa comune”, portando come contributo la visione che la Chiesa stessa ha. Certo questa visione viene proposta, non imposta, con lo spirito che il Concilio Vaticano II ha individuato essere lo spirito giusto per confrontarsi con il mondo contemporaneo.

Dopo l’assise vaticana, il modo infatti di porsi della Chiesa, in conseguenza della linea approvata dai Padri Conciliari, è cambiato. Fino a quel momento la Chiesa riteneva di avere l’autorità di imporsi con le proprie tesi nella società. Non solo. L’impegno di tutti i credenti doveva essere quello di fare in modo che il progetto cattolico fosse il progetto prevalente, quello sicuramente giusto per intenderci, che doveva eliminare le altre impostazioni. Si può dire quindi che con questa impostazione le idee portate avanti dai cattolici erano alternative alle altre da considerarsi sbagliate, fonte di comportamenti da condannare.

Il Concilio Vaticano II ha portato una ventata nuova, introducendo una visione innovativa: i progetti del mondo cattolico non solo non sono progetti alternativi, ma sono propositivi e complementari in quanto devono contribuire con le peculiarità che sono di questo mondo, per la creazione di modelli di vita sociale che devono tenere conto di tutte le sensibilità. Una prova di questa mentalità si trova anche nella frase di papa Francesco che ho citato all’inizio di questo articolo quando dice “mi propongo di entrare in dialogo”.

Papa Francesco

Un richiamo ad alcuni testi della dottrina sociale alla Chiesa

Dato per assodato che i vari pontefici hanno sempre scelto di intervenire nelle vicende politiche e sociali, per portare avanti il pensiero della Chiesa su questi argomenti, ben si può affermare che il primo papa che ha scritto un documento in materia è Leone XIII, che nel 1891 pubblica un’enciclica destinata ad essere considerata il testo base del pensiero della Chiesa in campo sociale. L’enciclica si chiama “Rerum Novarum”. È il documento che affronta la questione operaria, con le problematiche legate alle rivendicazioni dei lavorati in conseguenza delle nuove impostazioni dei processi produttivi conseguenti alla Rivoluzione industriale. Da questo momento la Chiesa si sente legittimata ad intervenire e a fare sentire la sua autorevole voce.

Quarant’anni dopo, Pio XI riprende la questione sociale allargando però con il suo intervento il campo della Chiesa. Quando Pio XI scrive la “Quadragesimo anno” – questo è il titolo della sua enciclica – non c’è solo il problematico dramma degli operai della vecchia Europa, ma è in corso una crisi economica che sta sconvolgendo il mondo: è la crisi del 1929 e Pio XI sente il bisogno di intervenire per ribadire la necessità di una nuova organizzazione imprenditoriale.

Ovviamente aleggia in tutta l’enciclica quella che è la tipica impostazione della Chiesa cattolica ancora in quel momento: poiché nella Chiesa c’è la convinzione di possedere il modello giusto di società, l’obiettivo da recuperare è quellodell’ordine sociale secondo la legge evangelica”. Di conseguenza precisa è anche la posizione del Pontefice: egli non ritiene di avere la competenza per esprimere valutazioni tecniche sulle varie proposte e teorie valide per far uscire la comunità mondiale dalle difficoltà finanziarie ed economiche in cui si trova; è però profondamente convinto, grazie all’autorità e all’autorevolezza che gli deriva dal Vangelo di essere il depositario della legge morale e quindi a lui, e solo a lui, compete il compito di dare un giudizio morale sulle scelte che vengono compiute.

Il cammino della Chiesa nell’ambito sociale non si ferma però qui: dopo il pontificato di Pio XII, il papa della seconda guerra mondiale e della ricostruzione post-bellica, che nei suoi radiomessaggi ritorna molto spesso sul tema tanto caro anche al suo predecessore, del nuovo ordine mondiale, basato ovviamente sulla ricostruzione della civiltà cristiana, arriva sul soglio di Pietro un cardinale, il cardinale Roncalli, che apre nuovi scenari, meritevoli di essere qui richiamati perché, tra l’altro, sono molto utili a comprendere su quali principi si fonda pure la linea di papa Francesco.

Sono convinto che Giovanni XXIII sia stato influenzato nella sua impostazione anche dalle sue esperienze come nunzio apostolico, esperienza che lo ha portato ad incontrare mondi diversi, culture diverse che ha dovuto coniugare con il suo modo di pensare, con la sua cultura e, cosa abbastanza comprensibile, con la sua religione. La visione di papa Giovanni XXIII è molto ampia e allarga gli orizzonti del suo operare. Sceglie, infatti, di colloquiare non solo con i suoi vescovi, i suoi sacerdoti, i cristiani a lui affidati, ma si rivolge a tutti coloro che hanno un Dio nel quale credere e arriva a chiedere colloquio e dialogo con tutti gli uomini di buona volontà.

Non solo: papa Roncalli, nella sua attenzione globale, affronta problemi internazionali e quindi mondiali. I suoi tempi, quelli cioè che vuole cogliere con i suoi segni fondamentali – non si dimentichi che Giovanni XXIII è il pontefice che parla in modo convinto della necessità di cogliere i segni dei tempi – sono quelli che vedono la pace la pace di nuovo in pericolo, dopo una breve fase di apparente tranquillità. Siamo infatti nel periodo della guerra fredda. Ecco allora la sua presa di posizione in campo sociale: con due encicliche, “Mater et Magistra” e “Pacem in terris” prende posizione. In questi documenti si delinea anche quella che sarà la linea del Concilio Vaticano II: la Chiesa cattolica non ha un modello da imporre ma vuole contribuire con il suo messaggio alla realizzazione di un mondo migliore.

Il suo successore, Paolo VI , con l’ enciclica “Populorum Progressio” e con molti altri suoi documenti, dà un contributo idoneo a rendere duratura la pace e, nello stesso tempo, vuole contribuire nella lotta per togliere molti elementi di sofferenza, che creano gravi problemi in molte popolazioni a cominciare dalla fame, piaga questa patita da molte popolazioni da quella realtà conosciuta come Terzo Mondo. Nei documenti di papa Montini troviamo anche una serie di richiami relativi agli squilibri mondiali.

Papa Montini mette in evidenza, tra gli altri punti della sua visione sociale, due elementi. Il primo: nelle regioni povere della terra non si deve far arrivare solo gli aiuti alimentari. L’intervento dei popoli opulenti non deve limitarsi a questo. Nei paesi poveri si deve intervenire con iniziative che in loco siano utili a far crescere le capacità delle popolazioni indigene e, di conseguenza, l’aiuto delle nazioni ricche deve essere un contributo educativo, perché in questo modo si inizia a costruire oggi quello che sarà un futuro più positivo domani. Non solo, così si potrà realizzare un motto tanto caro a papa Montini: il nuovo nome della pace è lo sviluppo.

Il secondo: guardando la cultura dominante, Paolo VI nota che si tende ad un capovolgimento di valori. Al centro dell’attenzione e della ricerca sociale non viene più posta la persona, ma viene esaltata l’economia. In parole semplici è l’economia con le sue leggi a guidare il mondo. L’uomo da protagonista diventa strumento, ingranaggio di una catena gestita da poteri forti. Montini ha ben presente e condivide, in questa sua amara convinzione, quanto la letteratura scientifica cattolica di quel periodo sostiene affermando che “l’economia è al sevizio dell’uomo”, come tra gli altri ci ricorda, anche se poco ascoltato, Francesco Vito in un suo memorabile saggio.

Come si può ben vedere con Giovanni XXIII e Paolo VI l’insegnamento della Chiesa ormai riguarda campi sempre più ampi ed universali. Si passa infatti dalla questione degli operai del vecchio continente – perché Leone XIII si occupa delle problematiche dei lavoratori, coinvolti e spesso vittime della Rivoluzione industriale che, nella seconda metà dell’Ottocento, colpisce le industrie europee – alle problematiche legate alla crisi economica finanziaria e intercontinentale a carattere internazionale, esaminata nella “Quadrigesimo anno”, per arrivare alle gravi situazioni a livello mondiale denunciate da Giovanni XXIII e da Paolo VI , che sottolineano la presenza di questioni che riguardano anche paesi fino a quel momento fuori dall’interesse dei paesi occidentali La loro attenzione è per tutta l’umanità, il loro messaggio è universale, è per tutti gli uomini di buona volontà, non solo per i cattolici o per i cristiani.

Durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II non solo vengono ribaditi alcuni concetti riguardanti il lavoro inteso come valore, che è in grado di contribuire all’esaltazione della dignità umana, ma viene anche posta un’attenzione particolare alle problematiche dell’ambiente. La profonda, non marginale attenzione dimostrata per l’argomento è una novità da non sottovalutare.

Chi però introduce da un punto di vista sistematico la questione ambientale è il suo successore, Benedetto XVI che, con l’enciclica “Caritas in veritate”, vede l’ambiente in crisi come una conseguenza strutturale delle disfunzioni dell’economia e della finanza globale e, coerentemente, invoca la creazione di una vera “Autorità politica mondiale” per la gestione dell’economia e la tutela dell’ambiente. Precisa è anche l’indicazione del pontefice per quanto riguarda i compiti di questo organismo: controllare e governare le cause dei fenomeni nella dimensione globale.
Papa Francesco, riconoscendo molto significativo il pensiero del suo predecessore, lo cita moltissime volte (almeno 14 volte) e si serve dei suoi documenti per introdurre il suo pensiero.

Papa Francesco
Papa Francesco

Qualche elemento significativo della “Laudato Sì”

Dopo aver richiamato – e questo richiamo è fondamentale per dare il giusto valore all’enciclica. Che stiamo prendendo in considerazione – i precedenti significativi sui quali si colloca la dottrina sociale della Chiesa, si possono ora evidenziare alcuni consolidati punti del documento di Francesco, che in questi sei anni sono stati argomento di approfondimento.

Papa Francesco e il suo tempo

Credo che la prima sottolineatura da fare, guardando il tutto da un punto di vista storico, sia questa: il pontefice ha dimostrato e dimostra di avere una profonda intuizione perché con il suo documento ha anticipato il provvedimento dell’ONU, l’Agenda 2030, pubblicato nel settembre dello stesso anno. Questo sta pure a sottolineare una profonda sintonia tra due istituzioni su un argomento scottante: l’ambiente.

Non solo. Sempre da un punto di vista storico va registrato l’interesse che ha suscitato in molti ambienti laici e, nello stesso tempo, va registrata la spontanea adesione di questi ambienti a collaborare per portare avanti tutte le tematiche ambientali richiamate dal pontefice, anche perché in comune vi è la convinzione dell’indispensabile opportunità di lavorare per difendere la “casa comune”. Aggiungo anche che il documento pontificio ha suscitato una particolare attenzione nei giovani e nelle loro organizzazioni, che spesso nei loro messaggi hanno ribadito, come sostiene papa Francesco, la necessitò di appropriarsi del loro futuro.

Credo che vada inoltre registrato anche un profondo consenso all’interno della Chiesa. Si deve infatti sottolineare l’adesione sostanzialmente unanime alla metodologia usata del Papa che – ed è questa una considerazione a mio avviso importante – nel costruire l’enciclica ha fatto proprio alcuni documenti delle conferenze episcopali. Questo significa, tra l’altro, che in papa Francesco c’è la spiccata volontà di parlare insieme con gli altri vescovi. Anche in questa enciclica come nell’altra – Fratelli Tutti – si avverte quel profondo desiderio di sinodalità, tipico di papa Francesco, presente in molte sue lettere ed esortazioni.

Francesco non solo, quindi, predica lo spirito sinodale, ma lo tiene ben presente anche nel suo modus operandi. Del resto nell’enciclica c’è traccia di questo suo comportamento. Scorrendo le note, infatti, si trovano citate molte conferenze episcopali e, di conseguenza, il pensiero di questi organismi è stato trasferito negli scritti del pontefice, che ovviamente lo condivide.

Papa Francesco
Papa Francesco

L’ecologia integrale

Valuto a questo punto molto importante riprendere, per i dovuti approfondimenti, il concetto di ecologia integrale. Prenderò in esame, a questo proposito, con la dovuta attenzione, il capitolo IV dell’enciclica perché lo ritengo fondamentale per i suoi contenuti.

Mi sembra anche opportuno partire, con qualche spunto di riflessione, sull’aggettivo “integrale”. Questo termine, nel mondo culturale cattolico, ha assunto un’importanza notevole. Sta infatti ad indicare una realtà composita, che registra la presenza di svariati elementi che sono concretamente legati tra di loro e tutti concorrono a formare una sola entità. Anche in altre circostanze è usato l’aggettivo per sottolineare una presenza di componenti diversi legati però tra di loro e l’insieme che li comprende non ha significato se tutte le parti non vengono prese in considerazione.

Credo, proprio per restare nell’ambito del pensiero cristiano, si possa citare l’umanesimo integrale, diventato concetto consolidato e diffuso grazie al pensiero di Jacques Maritain che, nella sua opera più famosa, sostiene come la visione cristiana di umanesimo sia superiore a quella marxista, perché comprende anche una componente spirituale che il marxismo tende ad escludere. Del resto il precitato ampio contenuto di questo aggettivo viene ripreso anche da papa Francesco, che sceglie di qualificare la sua “ecologia” come “integrale”. Da questa affermazione ne deriva subito un’altra. La parola “ecologia” non è da considerare legata all’ambiente, inteso in senso puramente spaziale e fisico. Spesso infatti, quando si fa riferimento all’ “ecologia”, si è tentati di collegare l’espressione alle questioni ambientali, pensando in modo particolare all’aria, all’acqua, al clima.

Questo modo di vedere e di intendere l’ecologia non soddisfa papa Francesco. Lo dice subito nell’introdurre la questione nei paragrafi iniziali del precitato capitolo IV. “L’ecologia studia la relazione tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui essi si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, promozione e consumo […] tutto è connesso”. Se non si tiene conto di queste connessioni si generano “conoscenze frammentarie ed isolate” che possono diventare una forma di ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà. Da questa considerazione di Francesco derivano quattro elementi idonei a definire l’ecologia come integrale, e quindi comprende le dimensioni umane e sociali.

  1. Ambiente. “Quando parliamo di ambiente facciamo riferimento anche ad una particolare relazione, quella tra natura e la società che la abita”. Quest’osservazione mette subito in evidenza un concetto: la natura è intimamente legata e condiziona la persona perché essa non è solo “la cornice della nostra vita”. Tutto questo dimostra che il mondo nel quale viviamo si basa su sistemi complessi che vanno studiati attentamente quando si compiono delle scelte che sono destinate ad incidere anche sull’ambiente. Il pontefice avverte che non esistono crisi separate: una crisi ambientale è anche una crisi sociale, quindi le soluzioni “richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e, nello stesso tempo, per prendersi cura della natura”. Da queste parole si ricava un invito, che diventa anche presupposto procedurale per tutti gli interventi idonei a produrre modifiche agli equilibri naturali di certe zone. Non solo. Si deve evitare che la crescita economica, con i suoi benefici, sia considerata causa giustificante per interventi che invece sono idonei a deturpare gli ambienti. Le valutazioni per procedere alla realizzazione di progetti ad alto impatto ambientale devono tenere conto di tutto e non solo dei risultati economici. In questo passo poi Francesco, riprendendo una tesi cara al suo predecessore, fa un richiamo alle istituzioni e al loro funzionamento perché, se le istituzioni pubbliche sono in grado di funzionare bene, il loro positivo funzionamento produce conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana.
  2. Cultura. Il patrimonio nel quale si inserisce una persona o una comunità non è solo quello naturale. Vi è anche un patrimonio storico, artistico e culturale, che a volte, anzi molto spesso, corre il rischio di essere minacciato dall’azione umana. Questo patrimonio va conservato perché, sotto un particolare e significativo punto di vista, questi beni sono da considerare le radici di una tradizione e quindi elementi costitutivi di una comunità. Spesso i nuovi processi, generati da interventi, magari giustificati da criteri di modernità, distruggono valori che sono importanti per mantenere quel vincolo di solidarietà che, con il trascorrere del tempo, si genera tra le persone. In questo passo di papa Francesco vede un po’ la sua storia prima di diventare pontefice e avverte le sensazioni, a volte profonde, provate nella sua esperienza argentina. Rivede e ricorda, con una sensibilità tutta sua, le comunità aborigene con le loro tradizioni culturali. Esse “non sono una semplice minoranza tra le altre ma piuttosto devono diventare i principali interlocutori, soprattutto con grandi progetti, che interessano i loro spazi”.
  3. Qualità della vita quotidiana. Un esame attento dell’impostazione ecologica presuppone anche una lettura attenta dello spazio nel quale una persona vive. Non si può parlare in effetti di miglioramento, e quindi crescita del tenore di vita e di conseguenza di positivi interventi ecologici, se non viene fatto un esame puntuale ed attento dei luoghi. Da quanto mi è dato di capire dall’esame della biografia di papa Bergoglio, ancora di più in queste pagine c’è la sua esperienza in Argentina, perché molte sue considerazioni richiamano proprio quegli ambienti. Innanzitutto Francesco sottolinea un dato: anche il luogo dove si vive influisce sulla persona e sul suo modo di essere ed anche di agire e quindi assume una valenza ecologica“[…] nella nostra stanza, nella nostra casa, nel nostro luogo di lavoro, nel nostro quartiere facciamo uso dell’ambiente per esprimere la nostra identità. Ci sforziamo di adattarci all’ambiente e, quando esso è disordinato, caotico o saturo di inquinamento visivo ed acustico, l’eccesso di stimoli mette alla prova i nostri tentativi di sviluppare un’identità integrata e felice”. In questo contesto papa Francesco produce una serie di considerazione sullo sviluppo delle città, sulle procedure da seguire quando si devono, per i motivi più disparati, abbattere quartieri. Termina, poi,facendo una serie di considerazioni sui servizi alle persone, trasporti compresi.

Il bene comune

Per trarre una conclusione rispetto a quanto sinora affermato, si può dire che l’ecologia integrale ha un obiettivo preciso: il bene comune – quel bene “che presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali ed inalienabili, ordinati al suo sviluppo integrale”.

Prof. Franco Peretti
Cultore di storia della dottrina sociale della Chiesa

Franco Peretti

Professore ed esperto di diritto europeo

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