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Luigi Pirandello, celebrato con una mostra, nasceva 152 anni fa

Drammaturgo e narratore nato a Girgenti, Agrigento, il 28 giugno 1867, Luigi Pirandello è stato il narratore che ha rivoluzionato il teatro del Novecento, divenendo uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi, e dedicandosi solo ad esso dal 1922. Ha lasciato la sua impronta nella visione relativistica, seppur angosciosa, della vita e del mondo nei tempi moderni, passando per il “Verismo” della scuola siciliana. Ha compreso l’inganno delle maschere, degli atteggiamenti assunti per nascondere il disagio del vivere, cogliendo la propria precarietà e quasi nullità attraverso una consistenza tragicomica, dove il vero “io” di ciascuno in alcuni momenti appare fortemente comico. All’età di 27 anni comincia a scrivere, dopo aver studiato filologia a Roma e in Germania, divenendo anche insegnante, ma la sua vita, pur avendo raggiunto la fama, non è stata facile. Il Nobel per la Letteratura conferitogli nel 1934 dimostrò come il suo messaggio artistico, nel frattempo raccolto da un giovanissimo Eduardo De Filippo, fosse stato recepito e apprezzato. Fu con il grande Eduardo, tra l’altro, che lo scrittore siciliano trascorse molto tempo nell’ultima parte della sua vita, condividendo con lui la necessità di prendere le mosse dalla cultura locale, quella meridionale, per raccontare meglio l’umanità con i suoi sacrifici e le sue rinunce.

Luigi Pirandello con Marta Abba
Luigi Pirandello con Marta Abba

Pirandello scrisse, oltre a novelle e storie per il teatro, romanzi quali L’esclusa, Il turno, Il fu Mattia Pascal, Suo marito, I vecchi e i giovani, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Uno, nessuno e centomila. La sua ampia visione dell’arte lo accostò anche alla musica, come si legge nella lettera a Marta Abba, con la quale ebbe un rapporto di collaborazione e di amore, dell’11 luglio 1928: “Vorrei saper la musica per esprimere, senz’essere inteso da nessuno, neppure da Te, tutto questo tumulto di vita che mi gonfia l’anima e il cuore”. Alcuni anni fa, la prima notizia venne data dal Corriere della Sera nel 2006, fu scoperto dal rivignanese Giuseppe Paron un musical da lui scritto, all’interno di un baule contenente altri inediti pirandelliani, ricevuto in eredità nel 2000 alla morte di Angelina Paron, moglie dell’impresario Guido Torre Gherson, trasferitasi in Friuli, a Rivignano. Torre mise in contatto Pirandello con il più importante impresario americano, Lee Schubert. Si arrivò così nel 1930 al contratto per la realizzazione del musical che Pirandello scrisse in versione trilingue (inglese, francese e anglo americano), affidandosi alle musiche del compositore americano Jack Berls. L’opera poi non venne mai rappresentata per motivi contrattuali, e se ne persero del tutto le tracce. Se ne ricominciò a parlare nel 1986, senza però sapere dove il testo si trovasse, fino a quando riemerse.

Eduardo De Filippo e Luigi Pirandello
Eduardo De Filippo e Luigi Pirandello

Si sa che Pirandello aveva un grande interesse per esoterismo e occultismo, che visse molto in solitudine pur essendo sposato, e che fu un professore ossessionato dalle sue studentesse. Trovandosi egli stesso irresistibile, era evidente il suo narcisismo, teneva lezioni in cui tutto era un sospiro e una risatina da parte delle giovani per essere notate. Tre i casi più eclatanti: una studentessa gli scrisse una lettera dove minacciava d’uccidersi se lui avesse continuato ad ignorarla; un’altra gli riempì le tasche di bigliettini amorosi; una terza, addirittura, arrivò a spogliarsi davanti a lui. Morì a Roma nel 1936, dopo aver avuto a che fare per tutta la vita con una moglie folle, colpito negli ultimi anni da demenza senile.

pirandello

Chi era davvero, e come si sentiva Luigi Pirandello? Queste le sue parole: “Insegno, purtroppo, da 15 anni Stilistica nell’Istituto Superiore di Magistero Femminile. Dico purtroppo, non solo perché l’insegnamento mi pesa enormemente, ma anche perché la mia più viva aspirazione sarebbe quella di ritirarmi in campagna a lavorare. Vivo a Roma quanto più posso ritirato; non esco che per poche ore soltanto sul far della sera, per fare un po’ di moto, e m’accompagno, se mi capita, con qualche amico. Non vado che rarissimamente a teatro. Alle 10, ogni sera, sono a letto. Mi levo la mattina per tempo e lavoro abitualmente fino a mezzogiorno. Il dopo pranzo, di solito, mi rimetto a tavolino alle 2 e mezza, e sto fino alle 5 e mezza; ma, dopo le ore della mattina, non scrivo più, se non per qualche urgente necessità; piuttosto leggo o studio. La sera, dopo cena, sto un po’ a conversar con la mia famigliuola, leggo i titoli degli articoli e le rubriche di qualche giornale, e a letto. […] Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria. Chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita. Così è. La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del destino, che condanna l’uomo all’inganno. Questa, in succinto, la ragione dell’amarezza della mia arte, e anche della mia vita“.

Simona Cocola

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Simona Cocola

Giornalista pubblicista torinese, ha iniziato a collaborare per la carta stampata nei primi anni dell'università, continuando a scrivere, fino a oggi, per diverse testate locali. Ha inoltre lavorato in una redazione televisiva, in uffici stampa, ha ideato una rubrica radiofonica, ed è autrice di due romanzi.

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