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Plastica, ma quanto inquina? E quando ce ne libereremo?

ROMA. Le plastiche monouso saranno bandite nell’Unione Europea entro il 2021. Una scelta importante per frenare un’invasione che sta distruggendo l’ambiente, a partire dai mari. È di ieri un nuovo appello del ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che sul blog delle Stelle esorta tutti a impegnarsi per evitare che questa sarà ricordata come l’era del “Plasticocene”. Ma cosa prevede la direttiva dell’Unione?

Entro due anni gli stati membri dovranno vietare l’uso di una serie di articoli in plastica monouso: le posate di plastica monouso (forchette, coltelli, cucchiai e bacchette), i piatti di plastica monouso, le cannucce di plastica, i bastoncini cotonati fatti di plastica, i bastoncini di plastica per palloncini, le plastiche ossi-degradabili e i contenitori per alimenti e tazze in polistirolo espanso. Secondo la direttiva, inoltre, entro il 2029 gli Stati membri dovranno raccogliere attraverso la differenziata il 90% delle bottiglie di plastica. La normativa prevede anche che entro il 2025 le bottiglie di plastica debbano contenere almeno il 25% di contenuto riciclato, per passare al 30% entro il 2030.

Da quanto si evince da uno studio commissionato dalla Commissione europea, oltre l’80% dei rifiuti marini è costituito da plastica. I prodotti coperti dalla direttiva costituiscono il 70% di tutti i rifiuti marini. Il testo è stato adottato con 560 voti a favore, 35 contro e 28 astensioni. In particolare i bicchieri che si ritrovano spesso in spiaggia rappresentano circa il 20% dei rifiuti marini.

Come siamo messi in Italia

Nel nostro Paese è sconcertante la radiografia fatta da Legambiente sui rifiuti trovati sulle spiagge: pezzi e frammenti di plastica o di polistirolo rappresentano la prima categoria di rifiuti più presenti sulle spiagge italiane, il 21,3%. Tappi e coperchi in plastica per bevande sono al secondo posto e rappresentano il 9,6% dei rifiuti rinvenuti. Seguono i mozziconi di sigaretta con l’8% e i cotton fioccon il 7,4%. Bottiglie e contenitori di plastica per bevande costituiscono, invece, il 4,6% del totale; bicchieri, cannucce, posate e piatti di plastica usa e getta, con il 3,5%, sono all’ottavo posto.

Il fenomeno è comunque ben più ampio, ed ha dimensioni colossali: 396 milioni, secondo i dati Wwf, le tonnellate di plastica vergine che vengono prodotte su scala globale ogni anno, circa 100 milioni di tonnellate (pari a un terzo dei rifiuti plastici prodotti, che ammontano a 310 milioni di tonnellate) sono quelle che vengono disperse in natura al mondo per colpa della scorretta gestione della filiera della plastica (dalla produzione, al consumo, al riciclaggio, allo smaltimento).

Se le cose non dovessero cambiare, entro il 2030 l’inquinamento da plastica raddoppierà rispetto all’attuale e gli oceani saranno gli habitat più colpiti poiché oggi è più economico scaricare la plastica in natura piuttosto che gestirla efficacemente fino a fine vita. Ma sulla direttiva Ue c’e’ anche chi storce il naso: secondo PlasticsEurope Italia, l’Associazione di Federchimica che rappresenta i produttori di materie plastiche, secondo costituisce un danno per l’industria italiana. “I numeri di fatturato (1000 milioni di euro diretto, 2300 milioni di euro indiretto) e di addetti (2000 diretti e 8500 indiretti) – sostengono i produttori – sono tutt’altro che trascurabili e dimostrano l’assoluta eccellenza di questo comparto italiano nel panorama europeo”. 

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Piero Abrate

Giornalista professionista dal 1990, in passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. È stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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