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Autismo e tamponi: quanta empatia e efficienza c’è nella Sanità italiana?

La storia - denuncia di una mamma e di sua figlia, entrambe autistiche e vittime di un trattamento sanitario inefficiente e per nulla empatico nei presidi ospedalieri di Marzana e Verona

Lei si chiama Francesca (il nome è puramente di fantasia) ed è la mamma di Sonia (anche questo è un nome di fantasia), una bambina di 8 anni autistica di livello 3 . Francesca è anche lei nello spettro autistico a livello 1 e tra l’altro l’ha scoperto dopo la diagnosi certificata alla figlia.

Qualche tempo fa si sarebbe potuto dire che a Francesca è stata diagnosticata la sindrome di Asperger. Questa terminologia però è ormai superata come riporta anche una nota dell’istituto Superiore di Sanità in cui viene indicato che è necessario sostituire la definizione di “Sindrome di Asperger” con quella di “Spettro autistico”, specificando che la persona interessata non ha disabilità intellettiva, ha una discreta capacità di autonomia e che non ha necessità di un supporto intensivo.

La vicenda che ci racconta Francesca è quanto è realmente accaduto a sua figlia e a lei nel centro tamponi dell’Ospedale di Marzana in provincia di Verona.

Francesca ci specifica che Sonia è autistica di livello 3, non verbale e con numerose compromissioni e problematiche di difficile gestione. Nonostante le terapie comportamentali che la bambina segue da quando aveva 2 anni e le più recenti terapie farmacologiche iniziate nel tentativo di aiutarla maggiormente nelle sue criticità, Sonia ha spesso difficoltà anche nell’eseguire quello che per noi sarebbero semplici operazioni di controllo come per esempio quella di fare un tampone per verificare la presenza o meno del Covid-19.

Si parla tanto di sensibilizzazione sull’autismo e si sta tentando di fare molto al riguardo. Un esempio sono i progetti e le iniziative organizzate a ridosso del 2 aprile, Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, gli interventi realizzati nei negozi per creare momenti idonei alle persone autistiche e in generale la diffusione di una comunicazione il più possibile trasparente e veritiera su questa condizione.

Eppure a che serve tutto questo se proprio all’interno della Sanità una persona autistica si deve ritrovare suo malgrado a dover aver a che fare con personale non preparato e per nulla empatico e sensibile?

Una febbre dopo una gastroscopia e subito scatta la necessità di un tampone

Francesca, la mamma di Sonia ci racconta che la figlia ha dovuto subire recentemente una gastroscopia.

Dopo aver eseguito questo esame sono state riscontrate nuove problematiche fisiche – ci racconta Francesca – che probabilmente spiegano anche le sue crisi auto ed eterolesive, i suoi pianti e il suo nervosismo. L’esame è stato abbastanza invasivo infatti il giorno seguente non si era ancora ripresa: dormiva tanto, cosa molto insolita per lei, essendo iperattiva e aveva smesso di mangiare. Mi hanno chiamata da scuola perché aveva 38,5°C. Sono andata a prenderla e ho subito chiamato il reparto di gastroenterologia”.

Il racconto della mamma prosegue: Francesca ci spiega come dal reparto di gastroenterologia abbiano consigliato di monitorare la situazione e se la situazione critica che Sonia stava riscontrando sarebbe proseguita madre e figlia si sarebbero dovute rivolgere al loro pediatra.

Purtroppo il malessere di Sonia prosegue e la bambina il giorno seguente ha 39°C di febbre. La pediatra che l’ha in cura prescrive, come da prassi, un tampone per verificare la presenza del Covid-19. La mamma sottolinea che non è la prima volta che Sonia si ritrova ad eseguire un tampone da quando è iniziato il periodo della pandemia ed in tutte le occasioni precedenti c’è sempre stata molta difficoltà nel prelevare un campione di muco con l’apposito bastoncino cotonato.

Francesca sceglie di eseguire il tampone presso l’ospedale di Marzana in provincia di Verona, presidio ospedaliero più vicino alla propria abitazione ma anche sede del centro Autismo dove Sonia è attualmente seguita.

Al nosocomio spiegano che Sonia dovrà eseguire un tampone rino-faringeo e non viene neanche presentata a Francesca la possibilità di far eseguire alla figlia un test salivare. Questo è considerato meno invasivo ed è altamente consigliato ai bambini e alle persone fragili. Ma la necessità è verificare la presenza o meno del Coronavirus, senza contestualizzare né calarsi nei panni di chi deve eseguirlo e nelle difficoltà che potrebbe riscontrare nel farlo.

C’era una sola operatrice a cui ho spiegato che Sonia è autistica e che solitamente ha molta paura ad eseguire un tampone, rammentando anche che l’ultima volta eravamo in 5 a tenerla. Per lei il tampone e gli ospedali in generale sono ormai una vera e propria fobia” specifica Francesca.

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La crisi

La reazione di Sonia all’immediato tampone arriva rapida con una profonda crisi di pianto e urla ed atteggiamenti di panico.

“Sonia ha cominciato a sbattere la testa in terra, strapparsi i capelli, strapparli a me, che tentavo di attutire i colpi che si infliggeva, mi ha lanciato gli occhiali, ha cominciato a tirare pugni e calci, che ovviamente ho incassato cercando di evitare soprattutto non si facesse eccessivamente del male lei. Nel frattempo l’operatrice rimaneva immobile a guardare e aspettare che io calmassi la bambina chiedendomi solo se mi servisse più tempo per spiegarle che non sarebbe successo nulla di terribile” riferisce Francesca.

A nulla è servita la replica della madre che ha tentato di spiegare al personale sanitario che la bambina non avrebbe capito le motivazioni ragionevoli per cui si doveva sottoporre a tampone perché detentrice di un quadro clinico che non consente di comprendere rassicurazioni verbali. Sonia aveva talmente paura da aver generato in lei una crisi profonda. Non si sarebbe calmata facilmente e soprattutto non nei tempi che l’operatrice sentenziava.

Nessun aiuto da parte del personale sanitario

In “aiuto” nel centro tamponi dell’ospedale di Marzana in provincia di Verona giunge un’altra operatrice, probabilmente attirata dalle urla della bambina. Ma la situazione non migliora.

“Anche questa operatrice ha continuato a pretendere che convincessi mia figlia a parole e nessuna delle due ha accennato ad avvicinarsi e ad aiutarmi a trattenerla, mentre si faceva del male lei e mi facevo male io per i colpi che cercavo di parare. Cercavo di spiegare che era in pieno meltdown, condizione in cui una persona autistica non può avere il controllo, ma sembravano non capire nemmeno di cosa stessi parlando. Tra le urla di Sonia e le botte che incassavo, ho cercato poi di spiegare che purtroppo l’unica soluzione era trattenerla di forza, tenendo bloccati arti e testa per poter eseguire così più velocemente possibile il tampone” rivela la mamma di Sonia

Francesca nonostante abbia spiegato la situazione alle due operatrici non riceve nessun aiuto. E allora che inerme di fronte a ciò, scoppia a piangere. La sua reazione è più che plausibile. Gli elevati sforzi fisici ed emotivi possono infatti generare crisi profonde e per qualsiasi madre vedere la propria figlia soffrire senza poter in alcun modo evitarlo è motivo di forte sconforto.

Francesca, per l’esecuzione del tampone a sua figlia, ha scelto proprio il centro di Marzana dove sussiste un centro specializzato nell’Autismo, convinta di trovare personale medico formato e professionale ma invece si è imbattuta in operatori altamente indifferenti alla più semplice richiesta di aiuto.

“La seconda operatrice ha cominciato a suggerire di uscire un pò, così da calmarmi e, di conseguenza, magari si sarebbe calmata anche Sonia, perché, a detta sua, la sua crisi era dovuta al fatto che sentiva me agitata. A quel punto non ho più retto. Ho cominciato a urlare che non è colpa mia se Sonia non è in grado di farsi fare un tampone docile docile, che è autistica livello 3, che non mi stavano aiutando, che così non avremmo risolto nulla, che è evidente che non sapevano niente di autismo né di come trattare una persona autistica” sbotta Francesca.

La mamma di Sonia da quel momento esce, rimonta nella sua auto e si dirige verso il pronto soccorso dell’Ospedale di Verona Borgo Trento nella speranza di trovare aiuto vero.

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Ospedale di Borgo Trento a Verona (Facebook)

Il tampone al pronto soccorso di Verona

Sonia e sua madre si recano quindi al pronto soccorso del principale ospedale di Verona per eseguire il tampone. Francesca, dopo la vicenda avvenuta nel centro prelievi ospedaliero di Marzana, per fortuna trova persone sensibili che si prodigano per lei e sua figlia.

“L’esecuzione del tampone è stato difficile. Sonia era aggressiva perché nella sua mente doveva difendersi da qualcosa di cui non comprendeva il senso ed io non avevo alcun modo di aiutarla nel capirlo, ma almeno ho trovato tre infermiere e una dottoressa che si sono prodigate a cercare di fare il possibile. Siamo quindi riuscite a fare il tampone e anche altri esami” racconta Francesca.

L’odissea per l’esecuzione di un tampone non è ancora terminata per Sonia e sua madre. Mentre attendono gli esiti, ormai sfinite alla bambina risale la febbre. Gli operatori somministrano della tachipirina, che purtroppo, a causa del digiuno e della situazione vissuta, causa un vomito a Sonia

“Per il protocollo prevenzione Covid ci hanno messo in isolamento e mi hanno consegnato una supposta da somministrarle, chiudendosi dietro la porta. Io da sola? Eppure avevano ben visto com’è la bambina, quanto è forte nonostante abbia solo 8 anni, quanto sia impossibile fare qualcosa del genere da sola! Nemmeno la temperatura si lasciava prendere, perché non voleva essere toccata!” spiega scioccata la mamma.

Poco dopo l’infermiera chiede a Francesca se la supposta sia stata effettivamente somministrata e lei non ci pensa due volte comunicando apertamente che non ci aveva neanche provato se non c’era qualcuno pronto a supportarla. A tale richiesta l’infermiera capisce che forse c’è un’altra strada da percorrere, più semplice e adatta a quella situazione, e stabilisce che la bambina avrebbe potuto prendere il farmaco a casa in sciroppo.

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Ci sono i trattamenti adeguati in questa società per le persone autistiche?

Dopo aver raccolto la testimonianza di Francesca non possiamo che domandarci: questa società è pronta per tutelare, anche nelle più semplici operazioni come quella dell’esecuzione di un tampone, le persone autistiche anche se queste hanno compromissioni importanti?

Se nemmeno della casa dei professionisti della sanità ti puoi fidare e se neanche medici e infermieri riescono a capire le tue esigenze che speranze ci sono, là fuori nel mondo, per persone come mia figlia? Eppure esistiamo e meritiamo di essere aiutati, curati, considerati in modo idoneo” si domanda desolata Francesca.

C’è da specificare, inoltre, che non è la prima volta che Francesca si imbatte in queste “difficoltà” nel settore sanitario. Una certa mancanza di empatia del personale sanitario è stata riscontrata anche per l’esecuzione degli esami del sangue e anche in altre strutture ospedaliere diverse da quelle citate nell’articolo.

“Per effettuare le analisi del sangue che periodicamente mia figlia deve fare ho trovato una clinica privata dove il personale è molto gentile e disponibile. L’ultima volta che mi ero recata in una struttura pubblica ho avuto numerose problematiche – illustra Francesca- E confrontandomi con altre mamme ho notato che capita praticamente a tutte questo genere di situazione ovvero di ritrovarsi ad avere a che fare con personale sgarbato e non preparato a capire le diversità. Non si comprende sostanzialmente che devono essere usati altri metodi e ci vuole più pazienza di quella che si userebbe normalmente. Ed è sbagliato anche dare la colpa alla madre o al caregiver che in quel momento è con il bambino perché queste situazioni arrecano sofferenza anche per noi” illustra Francesca. Scoraggiamento e solitudine. Queste le sensazioni avvertite da questa mamma che si è sentita in questa occasione completamente inerme di fronte ad una società che invece dovrebbe tutelarla e dovrebbe salvaguardare il suo bene e quello di sua figlia.

“Voglio denunciare questo trattamento riservato alle persone autistiche e alle loro famiglie da parte della sanità italiana: né mia figlia, né nessuna persona autistica, né nessuna persona con disabilità o bisogni speciali dovrebbe sperimentare tutto questo. Abbiamo diritto anche noi ad essere aiutati e trattati in modo umano ” conclude Francesca.

Molto si potrebbe fare al riguardo. Sicuramente formando adeguatamente il personale medico e gli operatori addetti a interfacciarsi con persone autistiche in modo che sappiano come approcciarsi con loro evitando dinamiche dannose e completamente errate. Ma anche continuando ad informare e sensibilizzare le persone su che cos’è il disturbo dello spettro autistico. L’unica strada per formare una società più consapevole, più empatica e perché no, anche migliore.

Rossella Carluccio

2 risposte a “Autismo e tamponi: quanta empatia e efficienza c’è nella Sanità italiana?”

  1. Nonostante ci sia una circolare del Ministero della Sanita’ del 24 settembre 2021 in cui sottolinea che alla persone non collaboranti, anziani, Disabili, e spettro autistico e consigliato il tampone salivare molecolare perché meno invasivo continuano a somministragli il rinofaringei… ma sono proprio ottusi?

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