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Scuola, quale sarà il piano del Governo Draghi? L’intervista al Prof Peretti

In questi giorni studenti, insegnanti e genitori stanno cercando di comprendere cosa ne sarà del comparto scuola con l’insediamento del nuovo Governo Draghi. Alla guida del Ministero dell’istruzione Patrizio Bianchi, che vanta dalla sua un’ esperienza come rettore dell’Università di Ferrara e il suo impegno istituzionale come assessore dell’Istruzione nella Regione Emilia Romagna per dieci anni. Una persona dunque su cui si punta moltissimo data la sua esperienza pregressa.

A tal riguardo abbiamo deciso oggi di interfacciarci con il Professor Franco Peretti, Esperto di metodologie formative, per comprendere a fondo quali siano gli eventuali limiti dell’attuale utilizzo della Dad, al posto della scuola in presenza, quali potrebbero essere i vantaggi di un ipotizzato allungamento del calendario scolastico e gli svantaggi di un altro eventuale lockdown se mai le varianti del virus la facessero da padrone. Abbiamo chiesto al Professore data la sua competenza a 360° nel comparto scuola, non avendo solo un’ esperienza di livello in ambito accademico, ma essendo stato altresì membro di comitati scientifici a livello internazionale ed avendo assunto nel corso della propria vita anche importanti incarichi istituzionali, cosa ne pensi del piano scuola ipotizzato da Draghi e soprattutto della nomina del Ministro Bianchi all’istruzione. Ne é emersa un’ interessante ed approfondita intervista di cui siamo immensamente grati al Prof. Peretti e che qui vi riproponiamo.

Scuola, il piano di Draghi in due mosse: l’intervista al Prof Peretti

Gentilissimo Professor Peretti, nei giorni scorsi il neo premier Draghi ha posto l’attenzione sul comparto scuola, facendo due osservazioni importanti che concernono da un lato la «necessità di far salire in cattedra già a settembre tutti i docenti» e, dall’altro, quello di «recuperare il tempo perso a causa della chiusura delle scuole». Mentre la prima affermazione ha accolto parere favorevole da parte dei docenti e dei sindacati, sulla seconda sono piovute non poche polemiche, giacché si è parlato anche di estendere, per almeno un mese, il calendario scolastico. In molti hanno criticato il verbo ‘perdere’ associato al tempo, facendo notare che con la didattica online il programma è proseguito comunque. Altri invece hanno inteso, nelle parole del neo premier, la volontà di far recuperare in primis quel rapporto in presenza che va oltre la didattica che purtroppo questo anno è venuto meno, privando i ragazzi di una parte importante della vita della scuola, quella che va oltre la semplice acquisizione delle materie, ma che riguarda più la crescita personale e la condivisione di esperienze nel gruppo di pari. Lei come ha inteso tale intento di Draghi e, dunque, sarebbe favorevole o meno all’estensione del calendario scolastico?

Mi sembra opportuna una rapida ma importante premessa, che intuisco sia anche sotto la formulazione della sua domanda.    
Personalmente appartengo alla nutrita schiera di operatori che sono convinti nel riconoscere alla scuola come istituzione non il compito esclusivo di educare, ma un compito complementare a quello di altri soggetti, a cominciare dalla famiglia per arrivare agli organismi che operano in modo efficace nel sociale. È ovvio comunque che il ruolo della scuola non è né marginale né secondario, perché è un ruolo autorevole anche se non esclusivo.  Faccio questa affermazione per ribadire il giusto spazio da assegnare ai vari soggetti chiamati a dare un contributo all’educazione, perché spesso vengono dati ruoli e competenze in modo non del tutto esatto.      

Venendo in modo puntuale alla prima delle due affermazioni, quella cioè di far salire in cattedra ai primi di settembre – vale a dire all’inizio dell’anno scolastico – tutti i docenti, dico subito che non posso che condividerla, ma con qualche dubbio da un punto di vista operativo. Si tratta, per la verità, di un’affermazione non originale, perché tutti i ministri dell’istruzione hanno sempre espresso questo tipo di volontà. La storia, purtroppo, ci insegna che questo non si è mai verificato, non perché sia mancata una formale volontà politica; questa, fino a prova contraria, c’è sempre stata. Ma le dichiarazioni di intenti non sono sufficienti. Nella realtà, ad ostacolare l’attuazione di questo progetto ministeriale sono subentrati sempre vari ostacoli, a cominciare dai trasferimenti dei docenti per arrivare alla costituzione delle classi. Da qui la necessità di drastici provvedimenti, che invece non sono stati realizzati.

Credo infatti che sia possibile avere tutti i docenti sulle cattedre il primo settembre solo in un caso: il ministro, e quindi il governo, deve bloccare per un paio di anni tutti i trasferimenti di sede dei docenti. In questo modo, un blocco delle procedure di trasferimento potrebbe garantire la copertura delle cattedre all’avvio dell’anno scolastico. Se il governo riuscirà ad emanare un tale provvedimento, porrà fine alle cattedre scoperte e avrà il tempo necessario per organizzare il cosiddetto organico di istituto. Come si vede, la copertura di tutte le cattedre all’inizio anno scolastico è possibile se c’è, ovviamente, la volontà politica.             

Per quanto riguarda la seconda affermazione, quella collegata al “tempo perso” che ha scandalizzato una certa parte dell’opinione pubblica e anche qualche esponente sindacale, la mia risposta richiede, anche in questo caso, una premessa molto semplice ma importante. L’attività educativa, per essere efficace, richiede l’attuarsi di molti fattori. Tra questi vi è il rapporto diretto allievo-docenti e l’inserimento dell’allievo in un gruppo mentre procede nel percorso educativo, percorso che non si realizza nell’isolamento. Da questa premessa si ricava il limite oggettivo della didattica a distanza (DaD). In una situazione emergenziale, come è stata quella generata dal coronavirus, può anche essere accettata, ma non può diventare, fuori dall’emergenza, un metodo didattico idoneo a sostituire la didattica in presenza. Ovviamente, quando si parla di tempo perso, non si vuole negare la validità del lavoro svolto dai docenti; si vuole, invece, evidenziare l’insufficienza, dal punto di vista educativo, della DaD.      
Per chiudere quest’argomento vorrei aggiungere un’ulteriore riflessione. Quando la DaD si è svolta con tutto il bagaglio tecnologico che questa richiede, può essere accettata e può diventare un sufficiente strumento didattico. In Italia però non è così. Ormai è noto a tutti che non in tutte le regioni italiane è stata impostata in modo ineccepibile da un punto di vista tecnologico. Di conseguenza, per alcuni studenti tutto è andato abbastanza bene, sia pure con i limiti precedentemente descritti, mentre per altri è stato un totale fallimento. Non è, pertanto, neppure accettabile un’impostazione di insegnamento a due velocità. L’insegnamento che si può ricavare da questa esperienza è molto importante: diventa indispensabile fornire a tutte le scuole le opportune strutture ed è indispensabile garantire tutti gli opportuni collegamenti. Un’ultima considerazione da fare è relativa all’opportunità di prolungare l’anno scolastico per tentare di recuperare il “tempo perso”. Vedo molte difficoltà legate, tra l’altro, al fatto che l’allungamento dell’anno scolastico vada a sovrapporsi ad altre attività, non ultima la sessione degli esami di maturità e di licenza media. Forse sarebbe il caso di pensare alla progettazione di momenti educativi estivi, magari coinvolgendo enti che operano nel sociale. Potrebbe essere questa una prima concreta sperimentazione di quel patto educativo di cui anche il neo ministro ha parlato in diverse occasioni prima della sua nomina. Capisco che si tratta di un percorso nuovo, ma può ben essere sperimentato in quanto, alla scuola come istituzione, è riconosciuta come prerogativa anche l’autonomia.

Scuola, recuperare tempo ‘perso’ o lockdown? Effetti sugli allievi

Paradossalmente, in netta contrapposizione all’idea di un prolungamento del calendario scolastico per poter recuperare quanto perso in fase lockdown, paiono andare le dichiarazioni dei giorni scorsi del consigliere scientifico del Ministro della Salute per la pandemia da Covid, Walter Ricciardi, che ha parlato, invece, della necessità di un nuovo lockdown generalizzato, invitando Speranza anche a riflettere sull’immediata chiusura della scuola. Cosa ne pensa in tal senso e cosa comporterebbe, specie per i più piccoli da poco tornati ad una pseudo normalità, o a quanti si stanno preparando per l’esame di maturità, questa eventuale nuova chiusura?

Non entro nel merito della dichiarazione del consigliere del ministro della salute Ricciardi perché esiste il diritto alla libertà di pensiero, quindi Ricciardi, come persona, può dire quello che ritiene opportuno, assumendosi giustamente le responsabilità del caso. Mi permetto però di fare una sottolineatura. Egli è il consulente del ministro e, in questa veste, dovrebbe sussurrare all’orecchio del ministro le sue considerazioni, al fine di non disorientare l’opinione pubblica che potrebbe correre il rischio di equivocare, interpretando come posizioni ministeriali, quelle che invece sono opinioni, sia pur scientifiche, di un personaggio chiamato a consigliare più che a sentenziare.  Fatta questa considerazione, non entro nel merito delle affermazioni fatte da Ricciardi.

Ritengo, invece, opportuno fare una valutazione sulla didattica a distanza, la cosiddetta DaD, richiamandomi a quanto già detto, con mia personale e profonda convinzione, nella precedente risposta, magari facendo qualche ulteriore precisazione. Innanzitutto per la DaD si deve tenere in considerazione l’età degli alunni. Certamente non può trovare applicazione nella scuola primaria se l’introduzione non avviene in modo gradevole, anche perché, essendo ridotta l’autonomia dei destinatari, è necessaria la costante presenza, almeno nelle fasi propedeutiche, di un genitore. Anche nelle scuole medie inferiori e nelle scuole superiori la DaD può essere considerata un mezzo di insegnamento, ma non può, né deve, essere considerata uno strumento idoneo ad eliminare la didattica in presenza. Il rapporto con il docente deve essere reale, così come deve essere effettivo il rapporto con i compagni di classe, perché il processo educativo, per essere efficace, deve avvenire nel gruppo, nella comunità, in quanto l’essere umano naturalmente è portato a vivere in una comunità. Aggiungo, a questo proposito, sia pur incidentalmente, che neppure la lezione in presenza è sufficiente a garantire l’educazione. Accanto alla scuola è indispensabile la presenza della famiglia e di tutti quei soggetti che, a livello di territorio, concorrono a far crescere il territorio stesso.         

Con un’ultima sottolineatura chiudo la risposta a questa domanda. La DaD, sia pur come un mezzo che concorre con altri mezzi, per essere veramente utile, ha bisogno di viaggiare con strumenti validi da un punto di vista tecnologico. La recente esperienza del coronavirus ha fatto emergere tutta una serie di problematiche. Non tutte le realtà territoriali sono in grado di garantire i collegamenti di rete, non tutte le famiglie hanno adatti mezzi di ricezione, non tutte le famiglie – e questo vale per le scuole primarie in modo particolare – sono in grado di garantire l’opportuna assistenza personale nelle ore in cui si svolge la DaD. Prima allora di considerare la DaD un “mostro sacro” da venerare e rispettare, è necessario superare le difficoltà appena segnalate.

Scuola, Ministro dell’istruzione va a Patrizio Bianchi: quale la sua impressione?

Cosa ne pensa della nomina di Patrizio Bianchi a neoministro dell’istruzione? Crede che, trattandosi di un ex rettore dell’Università, possa avere una sensibilità maggiore nei confronti del comparto scuola o ritiene che l’Azzolina abbia fatto comunque del suo meglio nel contesto che ha caratterizzato il suo mandato?

Mi sento di esprimere una valutazione positiva sul nuovo ministro, perché conosce il mondo della scuola, avendo fatto sia attività didattica sia ricerche e studi molto precisi. Vorrei citare come premessa a questa risposta due suoi lavori. Il primo è un volume edito dalla casa editrice Il Mulino, dal titolo Nello specchio della scuola; il secondo è un documento redatto con altri studiosi per incarico della ministra che lo ha preceduto, dal titolo Riforma della scuola per l’avvio dell’anno scolastico 2020/2021. Nelle pagine di questi due lavori troviamo la visione del ministro Bianchi – visione che condivido – che ha come punto di partenza il collegamento tra scuola e territorio. Certamente il suo pensiero è influenzato dalla sua formazione di economista, ma aggiungo anche che ha contribuito alla costruzione di queste sue idee anche la sua esperienza come rettore dell’Università di Ferrara e il suo impegno istituzionale come assessore dell’Istruzione nella Regione Emilia Romagna per dieci anni. Come rettore ha dovuto impegnarsi per coniugare i progetti da realizzare in via prioritaria con le risorse economicamente sempre limitate. Come assessore ha dovuto confrontarsi e con il territorio di competenza e con il ministero dell’Istruzione, per gestire tutte le materie che rappresentano aree di competenza concorrente tra stato e regioni. Dal momento che ora si trova a gestire la scuola dal punto di vista dell’amministrazione centrale, potrà usare l’esperienza di questi decenni per realizzare un progetto che possa definirsi “buona scuola”.  Sia pure in modo schematico, richiamo alcuni punti che possono ben essere considerati la premessa del suo lavoro ministeriale: la scuola come istituzione territoriale, la preparazione tecnologica come conoscenza di base, un profondo legame tra studi scientifici e studi umanistici, una nuova architettura scolastica, un più costate e continuo aggiornamento dei docenti.

Ministro Bianchi: ‘scuola perno dello sviluppo ed é di tutti’

Il Professor Bianchi, presentando il suo libro in un video recente pubblicato dalla casa editrice il Mulino, ha detto: «La scuola è il perno dello sviluppo. Noi in Italia abbiamo investito sulla scuola meno che in altri Paesi, ma in modo particolare abbiamo tagliato nel momento in cui tutti facevano il salto, cioè nel 2008-2009».  Inoltre nel suo ultimo libro Nello specchio della scuola ha fatto già intendere quali saranno le sue intenzioni: «La scuola da sempre è considerata una questione che interessa soprattutto gli addetti ai lavori. In realtà è di tutti, rappresenta un cardine dello sviluppo del Paese, bisogna tornare a pensare che è un bene comune imprescindibile». Si trova in accordo con tali affermazioni o aggiungerebbe dell’altro, essendo lei stesso un professore Esperto di metodologie formative?

Bianchi è un economista ed è docente di economia. Questo significa che possiede una precisa mentalità: è assertore convinto del ruolo e della funzione della scuola intesa come istituzione in grado di garantire una solida preparazione alla persona, per metterla in condizione di essere un cittadino preparato a svolgere il suo ruolo all’interno della comunità.

Poiché è un economista, sa anche che chi ha responsabilità sociali deve essere consapevole che le risorse di cui uno stato dispone non sono illimitate e, quindi, si deve operare gestendo le risorse che sono limitate, per farle pronte ai bisogni che tendono ad essere illimitati, costruendo una scala di valori e, di conseguenza, una serie di priorità. Anche queste sua cultura personale può certamente essere utile per un governo della scuola dai risultati positivi.

Ringraziamo sentitamente il Prof Peretti per la sua disponibilità al confronto ed il tempo dedicatoci.

Erica Venditti

Erica Venditti, classe 1981, dal 2015 giornalista pubblicista. Dall'aprile 2012 ho conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.

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