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Storie di quelli che non vogliono lavorare: Angela

Da mesi si rincorrono le notizie sul lavoro disponibile e le persone non disponibili lavorare. Alcune storie come quella di Angela, dimostrano che più che la voglia manca la serietà e l’umanità di chi offre il lavoro.

Angela è una donna di 54 anni. Una donna di mezza età, vedova con due figlie già grandi. Abita nell’Appennino Tosco Emiliano terra di vallate verdi e montagne boscose e molti agriturismi.
Da giovane Angela ha lavorato in una fabbrica di confezioni. Il marito era elettricista e alla famiglia non mancava niente. Tutto è andato serenamente fino a che suo marito è morto nell’agosto del 2016 per un tumore. Angela aveva smesso di andare in fabbrica tre anni prima a causa di un’artrosi alle mani che non le faceva usare i macchinari per la cucitura, ma era riuscita a farsi assumere in una pensione del suo paese come aiuto cuoca. Nonostante il dolore per la scomparsa del marito, economicamente poteva contare sulla sua busta paga.
Poi è arrivato il Covid e come è accaduto a livello mondiale ha scombinato anche la sua vita. Tutti chiusi in casa, e quando la quarantena è finita i ristoranti erano a terra, così come la pensione a conduzione familiare dove lavorava costretta a chiudere.

Con il Covid l’inizio dei tormenti

Il settore turistico alberghiero è stato il primo a fare le spese della maledetta pandemia, specialmente in una zona come l’Appennino dove un tempo si viveva principalmente di pastorizia e oggi di turismo. Angela ha cercato ovunque ma nel 2020 tutto era fermo e così ha dovuto chiudere la casa e scendere da sua figlia maggiore a Firenze. Lì ha dato una mano con i nipoti ma un anno dopo, è voluta ritornare nelle sue montagne.

Con angoscia Angela scopre che il personale delle strutture ricettive è stato ridotto all’osso e si cerca personale solo per il sabato e la domenica. A lei il solo fine settimana non basta. Si è arrangiata con le pulizie tre volte la settimana in una famiglia conoscente della figlia in città. Ma il contratto che ha rimediato è quello a chiamata che si spiega in poche parole: vieni pagata per quanto lavori, non hai ferie pagate, né malattie né permessi. In teoria è un contratto adatto per chi lavora saltuariamente e senza impegno, ma è diventato l’asso nella manica dei datori di lavoro che pretendono presenza costante senza garantire tutele.

Le cinquecento euro delle pulizie ad Angela non sono sufficienti. Considerando la benzina per l’auto che guida malvolentieri e tutte le altre spese ha bisogno di un altro lavoro. Ma è difficile perché gli orari pretesi dalla famiglia dove va a pulire non combaciano con le offerte di aiuto cuoca nella sua zona. Non riesce ad incastrare le tessere del puzzle. Non vuole lasciare la famiglia che è l’unica che per quanto esoso l’ha assunta con un contratto e le paga i contributi.

Angela trova come aiuto cuoca ma a nero

A luglio riesce a trovare come aiuto cuoca in un agriturismo con orario serale, 40 euro a nero e chiamata quando c’è bisogno. La titolare nel primo incontro le ha chiesto se aveva intenzione serie e se non fosse come tutti quelli che le avevano fatto perdere tempo. Buffo che un titolare che fa lavorare otto ore serali una persona per 40 euro a nero chieda alla lavoratrice se ha intenzioni serie.

Angela ha bisogno e accetta dicendo di avere intensioni più che serie. Inizia lo slalom tra le pulizie in città e i servizi sottopagati all’agriturismo. Certi giorni lavorava ininterrottamente dalle 8 di mattina alle una di notte. Ma non basta lo stesso. All’agriturismo la chiamano non più di 4 volte alla settimana. Ha scoperto che preferiscono tenere in ponte più lavoratori e procedere con la turnazione per non avere personale fisso da assumere. Fatto sta che con 660 euro al mese non è possibile vivere.

Due lavori pesanti e non arrivare a fine mese

Ai primi di agosto arriva una buona notizia: apre un nuovo grande agriturismo al confine con l’Emilia Romagna e cerca personale esperto. Angela corre subito per un colloquio e viene presa, il posto di aiuto cuoca è suo. Stesso lavoro e purtroppo stesse modalità, con un solo aumento di 10 euro. Ogni servizio sono 50 euro a nero. In questo periodo gli ospiti sono tanti, continua a d ammazzarsi tra le pulizie domestiche e la cucina, con le mani che tutte le mattine dalla fatica non rispondono ai suoi ordini. Entra alle cinque e mezzo a spesso esce alle una.

Il picco lo si raggiunge a ferragosto quando trascorre 15 ore dentro la cucina per il pranzo e la cena con il caldo soffocante, i fumi, i tagli e le bruciature che sono di routine. Il figlio del proprietario arriva con una busta di plastica e tante banconote da 50 euro per tutti quelli che non hanno contratto. Un’intera giornata sono due servizi, 100 euro, ma Angela ha lavorato almeno 15 ore, ma non protesta.

A settembre Angela ha detto basta

Ma ancora il peggio non si è toccato Arriva il 4 settembre quando c’è un matrimonio. Il primo della nuova gestione. Tutti sono in fibrillazione e quella settimana viene chiamata tutte le sere per preparare. Angela è stanca, dopo un’estate a lavorare senza sosta mal pagata e senza tutele non ce la fa più. Eppure adesso deve darsi da fare più che mai. Non molla, magari verrà assunta a settembre, va bene anche un contratto a chiamata. Ma mentre prepara l’impasto dei crostini sente il proprietario dire che dopo il matrimonio la stagione sarà finita e che il lavoro sarò solo il fine settimana fino ad ottobre poi la chiusura.

Il giorno del matrimonio entra nella cucina alle otto di mattina dopo aver fatto le una di notte la sera prima. Si devono servire 120 persone. Le gira la testa, le mani le dolgono, ha la pressione bassa, la nausea, e la vista annebbiata. Lavora stringe i denti, si brucia , si taglia , prende padelle sbuccia, controlla e poi crolla. Alle 17 sviene. Si rialza, si toglie il grembiule e bianca con un lenzuolo va dal proprietario e chiede il suo compenso di 50 euro. Perché nel turno della sera si entra solo alle 18.

Se dobbiamo essere poveri facciamo in modo di essere riposati

Angela se ne va e non torna più in quella cucina. Non risponde alle chiamate del cuoco che vuole che si faccia viva per quando c’è bisogno. Un’amica le racconta che corre voce che si è inventata il malore per poca voglia. “Come se si potesse campare lavorando due giorni alla settimana” urla esasperata all’amica “Si deve lavorare come schiavi le giornate di festa per ingrassare i padroni e rimanere povere. Che lo dicano nessuno vuole lavorare dicano quello che gli pare” conclude Angela.

Adesso Angela continua a lavorare come colf a chiamata dalla famiglia di Firenze e conta sull’aiuto delle sue figlie. E’ l’esempio vivente del mondo del lavoro ai tempi del Covid. Però in Italia è rimasta ancora la possibilità di scegliere come morire di fame: se rimanendo a casa oppure lavorando due giorni alla settimana. Meglio morire riposati.

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Valentina Roselli

Laureata in Scienze Politiche, giornalista, ha iniziato come cronista per importanti testate nazionali e locali, ha collaborato con alcuni periodici di attualità occupandosi di politica ed è stata direttrice editoriale del quotidiano "Notizie Nazionali". Negli ultimi anni ha lavorato come ghostwriter e ha collaborato ad inchieste giornalistiche di attualità per radio e tv online.

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